Intervista ad Alessandro Rosina

In occasione dell'evento Comunità Maiuscole, Stradanove ha incontrato il Professore Alessandro Rosina, docente all'Università Cattolica di Milano

Intervista ad Alessandro Rosina
Intervista durante l'evento Comunità Maiuscole

Sabato 16 ottobre 2021 Stradanove ha incontrato Alessandro Rosina, docente universitario e saggista.
Studioso delle trasformazioni demografiche, dei mutamenti sociali e della diffusione di comportamenti innovativi, il professor Rosina collabora abitualmente con il Sole 24 ore e attualmente è Presidente dell’associazione InnovarexIncludere.

L'argomento di discussione riguarda i giovani e la loro possibilità di inserirsi in una società già “vecchia”. Se è vero che la maggiore occasione di cambiamento risiede nell'istruzione, è anche vero che in Italia ci è fermati a un apprendimento di tipo accademico dimenticando di valorizzare l'apprendimento collaterale. Negli Usa, per esempio, per l’accesso ai College più prestigiosi vengono presi in considerazione non solo i risultati scolastici, ma anche tutte quelle attività che, anche se svolte al di fuori dell'ambiente accademico, contribuiscono a formare lo studente in quanto persona parte della società. Ad oggi ciò che molte aziende valutano è il 110 e lode o il tempo che uno studente impiega a concludere l’università, ma non il percorso di crescita personale, che viene valorizzato - talvolta - solo in un secondo momento.

Abbiamo esposto le nostre perplessità a Rosina, studioso di demografia con particolare interesse per la condizione giovanile, coordinatore della principale indagine italiana sulle nuove generazioni.

La redazione intervista Alessandro Rosina.jpg

Alessandro Rosina, Eleonora Vignudelli, Ivonne delli Carri e Alessandra Romano

Buongiorno Professore, è fatto noto che se un giovane italiano si trova a competere per una borsa di studio o un dottorato all'estero è svantaggiato rispetto non solo ai paesi europei, ma anche ad altri paesi che nella mentalità comune vediamo in via di sviluppo. Cosa ne pensa, quindi, dell'insegnamento delle lingue nelle università italiane?


Penso che la dimensione delle nuove generazioni sia quella oltre i confini nazionali e oltre i confini del presente. In un mondo in grande trasformazione è necessario essere preparati con strumenti di base e avanzati, comprese le lingue, per cogliere le opportunità ovunque si creino. Non tanto per fuggire dal paese o dal presente, ma per diventare ponte verso il mondo e verso il futuro.

Ma è anche vero che i paesi con maggiori possibilità di sviluppo nei prossimi anni e decenni saranno quelli in grado di valorizzare al meglio il capitale umano delle nuove generazioni. L’Italia deve quindi formare giovani pronti a cogliere le sfide in uno scenario internazionale ma deve anche saper essere attrattiva per le nuove generazioni, che saranno comunque sempre più mobili.

Riteniamo sia sempre più difficile per le nuove generazioni, soprattutto per i neolaureati, entrare nel mondo del lavoro. In molti ambiti, uno per tutti, il giornalismo, persone appartenenti alla vecchia guardia continuano a lavorare gratuitamente, percependo la pensione, come se fosse un hobby. Ovviamente alle aziende questo meccanismo fa comodo: queste persone non sono da formare e sanno muoversi nell'ambiente. A noi giovani arrivano sempre più lettere di rifiuto. Secondo lei bisogna aspettare che questa mentalità si esaurisca con le generazioni che ne fanno da portavoce o si può fare qualcosa di pratico, legislativamente parlando, per sopperire a questo ciclo?

Questo è un punto molto importante, che non dipende solo da aspetti legislativi, ma anche culturali. Ci sono giornalisti maturi in pensione che lavorano gratuitamente, di fatto compromettendo le opportunità per i giovani, ma c’è anche una classe dirigente che è restia a mettersi da parte lasciando spazio alle generazioni più giovani. Siamo uno dei paesi con età più elevata ai vertici delle aziende, delle istituzioni, del mondo accademico. Ma è anche vero che più che mettersi “da parte” le generazioni più mature dovrebbero mettersi “di fianco”, usando il proprio network e la propria esperienza per aiutare i giovani a inserirsi nelle varie professioni.

Inoltre, dalla parte dei giovani, serve anche la capacità di portare la propria novità, sia come linguaggi che come contenuti, non solo pensare di occupare il posto di chi va in pensione. Il mondo migliora quando le nuove generazioni sono messe nella condizione di aggiungere, non semplicemente di sostituire.

Infine, la questione del lavoro gratuito o sottopagato riguarda anche i giovani stessi. Molti accettano una bassa remunerazione iniziale, pur di inserirsi in una attività di interesse, perché hanno una famiglia benestante alle spalle, così però creano un mercato al ribasso che esclude i giovani di estrazione sociale più bassa ma magari maggior talento. Oltre quindi a norme di legge che limitino queste derive, come il salario minimo di cui si sta discutendo, serve anche un atteggiamento culturale diverso, perché la competizione al ribasso alla fine danneggia tutti.

Noi non crediamo sia possibile, ma comunque questa domanda gliela poniamo. E' possibile trattenere giovani in Italia che non vogliano accontentarsi di incasellarsi in un lavoro (magari neanche quello per il quale hanno studiato) che non offre prospettive di crescita? In fondo questo è quello che l'Italia ti promette: gavetta, precariato, posto fisso, casa e famiglia. Ma se si volesse di più?

Nemmeno io penso sia possibile. Non si tratta solo di forze esterne che spingono ad andarsene per ciò che manca, ma anche di forze attrattive che dall’interno portano i giovani più dinamici e intraprendenti ad andare incontro all’idea di sé che vogliono realizzare. I contesti, in termini sia di organizzazioni che di paesi, che mettono i giovani nelle condizioni di dimostrare in senso pieno quanto valgono saranno al centro dei processi di cambiamento e innovazione del mondo in cui viviamo e vivremo.

Trattenere quindi non serve. Non sono i giovani che devono adattarsi e rivedere al ribasso le proprie aspettative in funzione di quanto oggi l’Italia offre, ma è l’Italia che deve allinearsi al rialzo alle potenzialità che i giovani possono esprimere.

L'Italia è un Paese con età media elevata. Crede che questo c'entri con il fatto che molti giovani non vanno a votare? La maggior parte della popolazione sotto i trent'anni non si sente rappresentata non solo dal gruppo al governo ma anche dalle proposte del panorama politico. D'altra parte, è difficile apportare cambiamenti al “meccanismo della sedia”. Chi ha il potere promette di tutto per restarci e le promesse sono destinate alla maggioranza e quindi ad un pubblico âgé.

Le generazioni più giovani sono demograficamente di meno rispetto a quelle adulte e anziane, anche comparativamente rispetto ai coetanei europei, come conseguenza della persistente denatalità. Questo significa anche minor peso elettorale. Se poi i giovani non vanno a votare e non si fanno sentire, allora ancor più l’attenzione e l’agenda politica rischiano di spostarsi verso la popolazione più matura.

Proprio perché sono di meno dovrebbero quindi con più determinazione elaborare una propria idea di come il paese va cambiato, farsi sentire anche attraverso il voto, migliorando sia la domanda che l’offerta politica. Quindi anche candidandosi nelle elezioni sia locali che nazionali, portando avanti istanze anche trasversali ai vari partiti. Alcuni temi, come quelli dell’ambiente, dimostrano che i giovani possono farsi sentire, anche se il risultato non è mai scontato. Ma rimanere passivi è sicuramente la strategia peggiore.

Domande ad Alessandro Rosina.jpg

Alessandro Rosina, Eleonora Vignudelli e Ivonne delli Carri

Crede che l'utilizzo professionale dei social dai giovani venga percepito come un valore aggiunto, una skill spendibile in ambito lavorativo in Italia?


La direzione è senz’altro quella. Vale certo per i social ma non solo. La sensibilità verso i temi della transizione verde e le competenze necessarie alla transizione digitale sono proprie soprattutto delle nuove generazioni. Tali transizioni si vincono con i giovani, anche se la politica e la classe dirigente non l’ha ancora ben capito. Ma non c’è dubbio che un paese nel complesso migliore, più avanzato e più efficiente, non lo si ottiene sfruttando i giovani come manodopera a basso costo, come fatto sinora, ma considerandoli come la risorsa principale da valorizzare a tutti i livelli.

Grazie Professore, del tempo dedicatoci. Un ultimo consiglio per noi?


“Ricordatevi di essere fastidiosi.
È il momento giusto, dopo la pandemia, per ricominciare e voi dovete essere il motore di avviamento. Dovete sempre essere rispettosi, ma mai abbassare la testa, dite la vostra e fatevi valere.
L’Italia in questo modo avrà buone probabilità di ricominciare”.

Ottobre 2021

Intervista a cura di Eleonora Vignudelli e Ivonne delli Carri

Guarda l'intervento di Alessandro Rosina e degli altri ospiti dell'evento conclusivo di Comunità Maiuscole sul nostro canale Youtube