Intervista a Nguyễn Phan Quế Mai, autrice del libro "Quando le montagne cantano"

Marilia Piccone ci propone l'affascinante e toccante intervista all'autrice del romanzo "Qando le montagne cantano".

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Sono parecchie le coincidenze che mi hanno colpito, leggendo “Quando le montagne cantano”, il romanzo di Nguyễn Phan Quế Mai. Ritrovare il fior di loto, uno dei simboli che ho ‘adottato’ in un anno con disavventure da cui non volevo lasciarmi abbattere, leggere una frase di Huong, la principale voce narrante, Mi ero convinta che, se le persone avessero incominciato a leggere e a scoprire le culture degli altri popoli, non ci sarebbero più state guerre, che mi è sembrato significasse quello che io amavo ripetere, “i libri salveranno il mondo”. E sono stata felice che Nguyễn Phan Quế Mai acconsentisse a rispondere alle mie domande.

Ho letto che è nata nel 1973, il che vuol dire che è passata attraverso la guerra nei suoi primi due anni di vita. Di certo era troppo giovane per aver conservato qualche ricordo della guerra, ma deve ricordare che cosa ha significato crescere dopo la guerra. Quale è stata la sua esperienza?

Avevo sei anni quando, in una notte d’estate, mi ritrovai seduta su un carro trainato da un bufalo d’acqua, fra mucchi dei nostri pochi vestiti, pentole, ciotole e bacchette per mangiare. Qualche giorno prima i miei genitori mi avevano detto che avevano deciso che saremmo andati al Sud. A Bac Lieu, un paesino all’estremità Sud del delta del Mekong, le tempeste non avrebbero rovinato i nostri raccolti come succedeva a Ninh Binh. Avremmo avuto abbastanza da mangiare e, soprattutto, i miei fratelli ed io avremmo avuto la possibilità di studiare e, un giorno, andare all’università. In quel viaggio che mi portava a mille chilometri di distanza, verso Sud, vedevo buio e luce, dolore e speranza, con gli occhi ingenui di una bambina - nei crateri delle bombe che la guerra aveva scavato nella terra, nei campi di smeraldo punteggiati dai bufali e dai contadini con le schiene curve sul riso, nelle montagne maestose e nelle spiagge lungo l’oceano blu. Una volta arrivati al Sud, mi aspettavano il riso, i fagiolini e i semi di sesamo nel pezzo di terra che i miei genitori coltivavano e che era stato il poligono di tiro dei soldati dell’esercito della Repubblica. Toccavo la guerra e la morte nel metallo freddo delle pallottole e delle granate non esplose che tiravo fuori dalla terra e che vendevo per ricavarne soldi per mangiare e per pagare le tasse della nostra scuola.

Di quegli anni ricordo la madre che si era suicidata perché i due figli non erano tornati dalla guerra, ricordo le donne che aspettavano il ritorno dei loro uomini dai campi di rieducazione dove erano stati mandati perché avevano combattuto a fianco degli americani, i compagni di scuola che scomparivano per affrontare l’oceano che li avrebbe portati ad una vita migliore, gli uomini che bruciavano banconote quando il governo lanciava una campagna contro i capitalisti. Tutti questi ricordi hanno ispirato il mio romanzo e mi hanno aiutato a ricordare come i vietnamiti abbiano superato innumerevoli calamità grazie alla loro determinazione, alla capacità di lavorare insieme, alla speranza e alla gentilezza.

Quanto c’è della storia della Sua famiglia in quella dei Tran?

“Quando le montagne cantano” è una storia inventata, ma è ispirata alle esperienze della mia famiglia e dalle persone che conosco. Mia nonna fu uccisa in un campo di granturco durante la Carestia, mio nonno morì a causa della Riforma Agraria e mio zio perse la giovinezza nella guerra. Per cercare di capire quello che avevano passato io ho scritto “Quando le montagne cantano”. Una volta il poeta Ocean Vuong ha detto che ci si aspetta che gli scrittori di colore siano un ponte che permette ai lettori di entrare nei loro mondi, ma noi siamo più che dei ponti, noi possiamo essere costruttori di mondi. Ho costruito il mondo di “Quando le montagne cantano” con la mia immaginazione. La base di quel mondo sono la mia ricerca e le storie vere che ho raccolto, e la chiave per aprire quel mondo è l’immaginazione dei lettori.

A volte è difficile reggere al dolore che è presente nelle pagine del libro. Il trauma di un intero paese è rappresentato nel trauma fisico e spirituale dei personaggi. Come si può riuscire ad aiutare delle persone che sono state così profondamente ferite?

Scrivere di un trauma significa vivere nuovamente quel trauma e si possono immaginare le lacrime che ho versato e il dolore che ho sofferto nei sette anni in cui ho lavorato a questo libro. Provavo io stessa il dolore dei miei personaggi e quel dolore non mi ha abbandonato. Quel dolore si è inciso dentro di me così che mi sembra di aver vissuto molte altre vite, così che mi è prezioso il valore della pace di oggi. Scrivere del trauma è anche il processo di condividerlo, di modo che chi lo ha sofferto sa di non essere solo, che ci siamo dentro insieme e che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Andare verso l’altro, ascoltarlo e condividere le storie è il processo per guarire.

Nel libro non troviamo sentimenti di odio. C’è odio solo nei confronti del vietnamita Spirito Malvagio che ha ucciso la bisnonna di Huong. Si odia la guerra ma non gli americani. La dottrina del Budda ha qualcosa da fare con questo?

Io ho scritto il libro per vendicarmi, vendicarmi dell’uomo che aveva ucciso mia nonna nel campo di granturco, l’uomo che nel libro ho chiamato Spirito Malvagio. Alla fine del romanzo, invece di trovare vendetta, ho trovato invece il perdono. Penso che questo mondo abbia più bisogno di perdono che di odio. L’odio porta alla guerra e il perdono è la base della pace.

Qualcosa che mi ha colpito fin dall’inizio, dalle parole in apertura “mia nonna diceva sempre che quando i nostri antenati muoiono non scompaiono davvero ma continuano a vegliare su di noi”, ed è il culto dei morti. È ancora presente, questo ricordo costante, nel Vietnam di oggi?

I vietnamiti hanno il culto degli antenati. Troverete un altare per gli antenati in ogni casa vietnamita. Preghiamo per i nostri antenati, offriamo loro cibo e li invitiamo in casa in festività speciali come il Nuovo Anno vietnamita o l’anniversario della loro morte. In realtà non lo chiamerei ‘culto’ ma una pratica tradizionale, un rituale prezioso nella vita vietnamita. Le famiglie vietnamite spesso hanno un libro di famiglia dove registrano i nomi degli antenati per generazioni. Credo che sia necessario sapere da dove veniamo perché senza gli antenati noi non saremmo qui. “Quando le montagne cantano” è soprattutto l’omaggio reso da Huong ai suoi antenati - ecco perché brucia l’incenso all’inizio e alla fine del libro.

Ho visitato il Museo di Saigon e sono rimasta inorridita e scioccata dalle fotografie che mostrano le conseguenze dell’Agente Arancio. E sono inorridita ancora di più quando ho letto del tentativo di minimizzare queste conseguenze attribuendone la colpa agli insetticidi usati dai contadini nei campi. C’è stato un risarcimento per le vittime? O delle scuse ufficiali?

Ho sottolineato le conseguenze dell’Agente Arancio perchè penso non sia stato fatto abbastanza per le vittime. Negli anni in cui ho lavorato ad Hanoi, ho fondato un’organizzazione volontaria per aiutare I bambini disabili a causa dell’Agente Arancio. Se si visitano degli orfanotrofi in Vietnam, se ne incontrano molti. Ci sono centinaia di migliaia di persone che devono convivere con le conseguenze dell’Agente Arancio. Non c’è stato nessun risarcimento per le vittime. L’esercito Americano e i produttori delle sostanze chimiche dell’Agente Arancio hanno negato la loro responsabilità anche se hanno invece pagato il risarcimento ai veterani americani. Per quanto ne so, non c’è stata nessuna scusa per le vittime vietnamite. Ci sono stati dei procedimenti penali ma non credo che le vittime abbiano ancora avuto qualche risultato.

Huong è una grande lettrice e suppongo che anche Lei lo sia. Huong spiega perché il romanzo di Laura Ingalls Wilder l’abbia influenzata, ma io sono stata colpita di più dal fatto che abbia ricevuto in regalo “Pinocchio”. Era possibile trovare una traduzione in vietnamita di Pinocchio negli anni ‘80? Era un libro popolare tra i bambini?

Ero un vero topo di biblioteca - e lo sono ancora. La mia famiglia era povera ma era ricca di libri: i miei genitori, che erano insegnanti e contadini, compravano tanti libri con i pochi soldi che avevano. E io li leggevo così tante volte che le pagine finivano per staccarsi. Allora mio padre, con le sue mani d’oro, li rilegava con il filo e li copriva con copertine di cartone. A Saigon, nella casa dei miei genitori, abbiamo ancora alcuni di quei libri. Crescendo negli anni ‘80 nel Vietnam del Sud, uno dei miei libri preferiti era “Pinocchio”. Con quel libro potevo viaggiare in Italia per la prima volta e mi piaceva molto (sono tornata spesso in Italia e ne ho scritto nel mio libro di racconti di viaggio intitolato “From the snow to the sun”). Per ora il libro si trova solo in lingua vietnamita.

Uno dei motivi per cui molti vietnamiti erano affascinati da Pinocchio è che noi abbiamo un naso piatto ed avere un naso pronunciato è segno di bellezza. Siamo affascinati dai nasi ed è una grande esperienza leggere le avventure birichine di un ragazzetto con un naso molto lungo. Ho letto quel libro proprio quando ci eravamo appena trasferiti dal Vietnam del Nord a quello del Sud e, in un certo modo, mi sentivo come Pinocchio - un’estranea. Inoltre Pinocchio ha dovuto superare molte situazioni difficili che erano una sfida per lui, eppure è rimasto gentile verso gli altri e ha sempre amato il padre Geppetto, il falegname. Ricordo che leggevo il libro quando avevo molta fame e pure Pinocchio era in cerca di cibo. Saranno passati quarant’anni da quando l’ho letto, ma ricordo ancora che Pinocchio mangiava una cipolla e io avevo così tanta fame che ne annusavo il profumo mentre lo sentivo sgranocchiare. Era qualcosa di magico, il potere dell’immaginazione che Carlo Collodi suscitò in me. Dopo la guerra, molti vietnamiti diventarono avidi lettori e circolavano molte traduzioni. Uno dei miei libri preferiti di letteratura infantile tradotta in vietnamita, di cui non ho parlato in “Quando le montagne cantano”, è “Le mille e una notte”. È il libro che mi ha fatto capire che le storie possono salvare noi stessi e gli altri, e la capacità di immaginare, di credere, di viaggiare con le storie è una magia della vita stessa.

Come è stato accolto il romanzo in Vietnam? Si può parlare apertamente degli errori della Riforma Agraria o c’è la censura?

Nei prossimi anni tradurrò io stessa il mio romanzo in vietnamita. Per ora quelli che in Vietnam sanno leggere in inglese lo hanno accolto in una maniera stupefacente. La Riforma Agraria è un argomento doloroso e ci sono molti libri su di questo. Ho visto di recente dei romanzi che affrontano direttamente il tema degli errori della Riforma. Tuttavia c’è ancora la censura e spesso gli scrittori devono tagliare alcune parti dei loro romanzi. Spero che ci sarà un progresso.

Ho letto il Suo libro di poesie “The secret of Hoa Sen”. Le poesie sono bellissime: sembra di leggere il romanzo in versi. Mi incanta la simbologia del fior di loto, hoa sen: sbaglio nel vederlo come un simbolo per il Vietnam?

Il fior di loto è il mio fiore preferito ed è anche il fiore del Vietnam. È il simbolo della purezza, della bellezza e della forza, perché cresce dal fango senza esserne sporcato. Qualche anno fa ero al lancio di un mio libro ad Hanoi e, sapendo quanto io ami i fiori di loto, i miei amici sono andati al West Lake alle cinque del mattino e hanno comprato centinaia di fiori di loto per riempire il luogo dove si sarebbe tenuto l’evento. Leggevo le mie poesie avvolta nel profumo dei fiori di loto, non lo dimenticherò mai.

Huong si chiede se i fantasmi della guerra scompariranno mai. Sono scomparsi 45, quasi 46 anni, dopo la fine della guerra? O è ancora troppo presto?

Viet Than Nguyen, l’autore de “Il simpatizzante”, nel suo libro “Niente muore mai” ha scritto: “Tutte le guerre si combattono due volte, la prima volta sul campo di battaglia e la seconda nella memoria.” Le guerre nella nostra memoria sono più crudeli e durano più a lungo delle guerre fisiche. Parenti di milioni di persone che sono morte o furono date per disperse, vittime dell’Agente Arancio, orfani di guerra, devo combattere ogni giorno contro i fantasmi della guerra. Temo che quei fantasmi non scompariranno molto presto. Con “Quando le montagne cantano” voglio mostrare che le guerre non solo uccidono e feriscono le persone, ma dividono le famiglie e le comunità, distruggono la natura così come la cultura e il tessuto stesso della società. Per questo si dovrebbero ad ogni costo evitare le guerre e tutti noi dovremmo contribuire di più alla pace.


Intervista a cura di Marilia Piccone

Febbraio 2021

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Leggi anche la recensione del libro dell'autrice "Quando le montagne cantano" a cura di M. Piccone


Fonte Foto: Immagine fornita dalla scrittrice a Marilia Piccone. Libera da copyright