Sidney Poitier: l’uomo che denunciò le discriminazioni razziali attraverso l’arte

Sidney Poitier: l’uomo che denunciò le discriminazioni razziali attraverso l’arte
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In questi giorni sono tanti i coccodrilli dedicati a Sidney Poitier, l’attore afroamericano che ci ha lasciato di recente e che viene da tutti definito come la leggenda Hollywoodiana che, attraverso la sua carriera artistica in ambito cinematografico,sia in veste di attore sia in veste di regista, ha contribuito ad abbattere le barriere razziali che da sempre sono causa di divisioni e scontri sociali.

Nato nel 1927 a Miami, in Florida, da una famiglia umile coltivatrice di pomodori, ha da sempre mostrato di avere un carattere forte e deciso,tanto da decidere ,all’età di soli 16 anni, di andare a vivere da solo con il fratello maggiore e all’età di 17 anni, facendo lavori umili come il lavapiatti, ha deciso di trasferirsi a New York, nel tentativo di realizzarsi personalmente e fare carriera.

Accettando un lavoro come tuttofare presso l’American Negro Theater di Harlem (compagnia teatrale afroamericana attiva nel quartiere Harlem di New York dal 1940 al 1951), è riuscito a guadagnarsi le lezioni di recitazione che gli hanno permesso di studiare e perfezionare quest’arte per poi esibirsi presso il teatro stesso ed iniziare così la sua carriera artistica.

Si è distinto particolarmente, non solo come attore, ma anche come persona una volta entrato nel mondo del cinema, strada che poi ha prediletto rispetto al teatro; infatti, non solo è stato il primo afroamericano a vincere il premio Oscar come miglior attore nel 1964 grazie alla sua interpretazione nel film “ I gigli del campo” , ma si è anche guadagnato - nel 2009 - dall’ex presidente degli Stati Uniti in persona, Barack Obama, la medaglia presidenziale della libertà, medaglia che viene assegnata a chi ha dato, e cito, un contributo meritorio speciale per la sicurezza o per gli interessi nazionali degli Stati Uniti, per la pace nel mondo, per la cultura o per altra significativa iniziativa pubblica o privata.

L’attore, infatti, si è distinto anche per aver intrapreso un’importante carriera diplomatica vestendo il ruolo di Cavaliere dell’Impero Britannico, di ambasciatore delle Bahamas e dell’Unesco.

Con classe e diplomazia ha cercato di contribuire alla creazione di una società più aperta, libera e senza discriminazioni, portando sul grande schermo il tema della segregazione razziale, proprio in un’epoca storica in cui in America vi era una forte spaccatura sociale dettata dalla diversità etnica : “i bianchi” da una parte e gli “altri” dall’altra.

Poiter ci insegna, come anche attraverso l’arte, si può trasformare qualcosa di negativo in qualcosa di costruttivo e di utile per migliorarci e migliorare ciò che sta intorno a noi, tanto che è lui stesso, nel suo libro autobiografico intitolato “La misura di un uomo” a riportare le seguenti parole: «Ho imparato a trasformare la mia rabbia in qualcosa di positivo, altrimenti mi avrebbe distrutto».

Come disse Hans Georg Gadamer, fondatore dell'ermeneutica e uno dei più importanti filosofi del Novecento Ogni comprensione del singolo elemento è condizionato dalla comprensione del tutto. Ogni spiegazione del singolo elemento presuppone la comprensione del tutto.

Così, per poter capire da dove venga la rabbia di cui parla Poiter, e soprattutto perché essere stato il primo afroamericano ad aver vinto un oscar è stato un momento così importante tanto da essere un avvenimento che ha segnato la storia del mondo cinematografico e non solo, è necessario contestualizzare il periodo storico che caratterizzava la società americana nel 1900.

Già dall’epoca coloniale si era instaurato un sentimento di discriminazione su base etnica, che noi chiamiamo ad oggi semplicemente razzismo, ma che all’epoca era conosciuto come “razzismo scientifico” per cui chiunque non fosse un bianco americano era discriminato e, in un qualche modo, considerato inferiore, tanto che anche noi italiani, nel periodo in cui c’è stato il boom di emigrazioni verso gli Stati Uniti (fine ‘800 e inizio ‘900), siamo stati vittime di razzismo da parte degli americani perché considerati non “autentici bianchi”.

Il razzismo scientifico sfruttava la scienza per studiare tecniche e ipotesi che potessero in un qualche modo sostenere questa discriminazione, ossia il credere che una razza possa effettivamente essere superiore o inferiore ad altre.

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I più soggetti a questa discriminazione, sono stati, però, coloro che visibilmente avevano caratteristiche fisiognomiche particolarmente diverse dagli americani, come gli asioamericani, gli ispanici, i latinoamericani ed in particolar modo gli afroamericani.

Poitier essendo nato in questo periodo storico, ha vissuto in prima persona le conseguenze della Segregazione razziale, nonché quel fenomeno di separazione delle persone e restrizione dei loro diritti civili in base all’etnia.

La segregazione razziale impediva agli afroamericani l’accesso a strutture e servizi pubblici come ai trasporti, alle cure mediche, all’istruzione, al lavoro ecc.: si potevano trovare ad esempio bagni separati, uno per “i bianchi” e uno per “i neri”.


Lo stesso Poitier, che nutrì così fortemente il desiderio di essere arruolato come soldato durante la seconda guerra mondiale a tal punto da mentire sulla sua età (aveva ancora 17 anni quando si arruolò) , fu mandato, invece, in un ospedale che si occupava di curare veterani di guerra con problemi psichiatrici; questo perché anche in ambito militare vi era una segregazione etnica per cui un nero non sarebbe mai potuto essere arruolato nei Marines o nel Corpo aeronautico dell'Esercito degli Stati Uniti, e non avrebbe mai potuto ottenere una medaglia d’onore.

Gli afroamericani, infatti, erano destinati a prestare il loro servizio militare solo presso unità non combattenti, proprio come accadde a Poitier.

Tutto ciò fu considerato legale fino al 1964, anno in cui, grazie alla legge federale del Civil Rights Act degli USA si dichiararono illegali le disparità di registrazione nelle elezioni, la segregazione razziale nelle scuole, sul posto di lavoro e nelle strutture pubbliche in generale (o per lo meno sulla carta poiché, di fatto, sappiamo che la questione della discriminazione razziale è tutt’ora irrisolta).

Fortunatamente sono tanti coloro che si sono battuti per abolire queste discriminazioni e, a tal proposito, ricordiamo l’esponente per eccellenza Martin Luther king , il quale nel 1957 fondò la "Southern Christian Leadership Conference" (Sclc), un movimento che si batte tutt’ora per i diritti di tutte le minoranze e che si fonda su principi legati alla non-violenza di stampo gandhiano, e che si esprime attraverso la resistenza passiva.

Un altro nome importante da ricordare è quello di Rosa Louise Parks, attivista statunitense divenuta famosa per aver rifiutato nel 1955 di cedere il posto su un autobus a un bianco, dando così origine al boicottaggio dei bus a Montgomery.

Questo dimostra, come, per fare la differenza e combattere tutte quelle ingiustizie che vanno contro i principi di uguaglianza e fraternità che dovrebbero essere alla base di una società, ma che soprattutto ci distaccano da quel senso di “umanità” che dovrebbe essere proprio dell’essere umano, basti veramente poco: piccoli gesti per grandi cambiamenti.

Probabilmente Poiter questo lo sapeva molto bene quando ha cercato di riportare nei suoi film gli attriti razziali con i quali ha sempre dovuto fare i conti nella vita reale, ora però, sta a noi, ascoltare, osservare e apprendere da ciò che - chi come lui - ha provato a denunciare e trasmettere.

Ora sta a noi, non tanto a iniziare, ma piuttosto a continuare a riconoscere tutti quegli strappi dell’esistenza umana che noi stessi abbiamo creato, e insieme, ricucirli.


Gennaio 2022

Articolo a cura di Caterina Borsari