#iorestoacasa... e aspetto, ascoltando il silenzio surreale che mi circonda

Il racconto di Elisabetta, volontaria in Servizio Civile Universale presso Comune di Modena, progetto "Narratori Strategici 5th Generation".

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Cronache di pensiero

“Io sono Leggenda”, “World War Z”, “Resident Evil”, “Contagion”, “Virus letale”. Dai, ancora un altro, un altro ancora, uno dietro l’altro.

Film, ore e ore di intrattenimento videoludico, ore e ore di racconti parossistici sulle bassezze di un mondo portato allo stremo.

Registrati in diretta dall’abisso della disperazione umana: quanto mi piacciono, quanto ci piacciono.

E poi all’improvviso tutto diventa spaventosamente reale, tutto diventa spaventosamente uguale a quei film.

Non erano esasperazioni, immaginazioni impossibili di situazioni che non si presenteranno mai?

No, non lo sono.

Sono il racconto allucinante di come la vita può trasformarsi in un film con la stessa facilità con cui premiamo play, facendo partire l’ultimo film spagnolo sull’apocalisse in onda su Netflix.

All’inizio non ci credi, c’è una sorta di scetticismo misto a ottimismo, quel genere di sentimento che rende possibile tirare avanti senza pensare al surriscaldamento globale, alla povertà, al consumismo, alla fame, alla guerra. Quel genere di sentimento, insomma, fondamentalmente egoista che non ci fa sentire il peso della nostra piccolezza e della nostra inutilità, del nostro essere non meno di briciole nell’enorme calderone che è il pianeta Terra. Quindi, dicevamo, all’inizio non ci credi.

Ridacchi nervosamente mentre scorri le notizie, alzi un po’ il volume del televisore quando comincia il telegiornale. Ma ancora ti suona lontano, non c’è motivo di preoccuparsi, basta essere cauti.

Possibile che capiti proprio a me?

Tanto per non sbagliare scrivi al tuo medico curante, perché chi meglio di un medico può toglierti di dosso la paranoia? D’altronde, l’ultima volta che hai cercato “mal di testa cause” su Google hai quasi pensato di morire per tumore dell'ipotalamo.

Poi il dottore ti dice di essere preoccupato, ti chiede se è proprio necessario che tu vada al lavoro, ti racconta delle precauzioni che sta prendendo anche lui, nonostante sia a 1500 km da dove ti trovi, al “sicuro” in Sicilia.

Allora forse è arrivato il momento di pensarci.

Ti accorgi che ci sono diversi modi di fare pace con quei pensieri e l’ossessiva paura che provi nell’essere un ragazzo giovane che lavora e studia fuori sede, molti dei quali comprendono il rimanere a fissare il soffitto chiedendosi se ormai non sia troppo tardi anche per te. Ma prima di quattordici giorni non potrai saperlo, non potrai esserne sicuro.

La vita ha un modo presuntuoso di andare avanti anche quando si presentano all’orizzonte i barbigli di un’emergenza sanitaria. Da una parte sei pronto a lasciare tutto, a tornare a casa, a fregartene di chi hai intorno, del lavoro, degli studi, dell’affitto: vada tutto al diavolo!

Dall’altra dello stipendio hai bisogno, della laurea non puoi fare a meno, tasse e bollette vanno pagate.

Quindi?

Aspetti, aspetti che qualcuno ti dica qualcosa. Ti svegli alle 7, fai colazione, ti metti i soliti vestiti, le solite scarpe, il cappello e la sciarpa per affrontare il gelo della prima mattina modenese, e arrivi in ufficio.

Prima che il Servizio Civile venisse sospeso pensavi “che disastro!”, scherzavi con i colleghi, prendevi il caffè, ma qualcosa è cambiato: adesso nell’aria c’è qualcosa che non torna, qualcosa di sbagliato, forse sono i tuoi polmoni a non funzionare?

Timidamente ti arriva la notizia: forse è il caso di prendersi una settimana di pausa, così, giusto per capire se la situazione è così grave come sembra ahah.

Da quel momento sono passati 21 giorni. La situazione è grave. L’Italia è un porto chiuso. Sventola una bandiera rossa su ogni asta. E no, prima che qualcuno possa cominciare a cantare l’inno della Federazione Russa, non è quel genere di bandiera rossa.

E’ il rosso del pericolo, della paura, del divieto, delle regole rigide.

Dei pensieri nascosti che tutto ciò che possono fare è essere cronaca di loro stessi. Come si racconta una quarantena quando l’unico modello disponibile è quello di Stephen Spielberg e i suoi?

Affacciato alla finestra, ascolti il silenzio surreale che ti circonda dove prima ti lamentavi della confusione, e i tuoi pensieri, lentamente si ammucchiano in una cronaca di giorni, di vissuti, da raccontare a chi verrà dopo di te.

Elisabetta, Volontaria Servizio Civile Universale

Progetto "Narratori Strategici 5th Generation"

Marzo 2020

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