ALDA MONICO

Stradanove ha incontrato l'autrice di "Maria della laguna", romanzo storico con una protagonista straordinaria e indimenticabile

ALDA MONICO

Ci ha incuriosito la lettura di "Maria della Laguna", ci è parso straordinario leggere di una donna con la passione della voga e di una città che organizzava regate per donne nel 1700. E ne abbiamo parlato con la scrittrice in un’altana della sua casa che domina il Canal Grande.

Perché dedicare un romanzo a Maria Boscola, ignota vogatrice?
   A Venezia Maria Boscola non è tanto ignota, a dire il vero, perché c’è il suo ritratto al Museo Correr e la tradizione della regata ha una grande importanza. Inoltre Maria Boscola viene ricordata anche perché nel 1784 ha vinto l’ultima regata per le donne fatta a Venezia- dopo di quella sono passati secoli prima che ne venisse indetta un’altra, venivano fatte solo quelle maschili.
   Era la fine della Repubblica Veneta, si stava andando verso il periodo più nero, di Venezia sotto gli austriaci, della deposizione dell’ultimo Doge. Quindi Maria non è sconosciuta. Di lei mi interessava questo lungo intervallo tra la prima regata che ha vinto nel 1740, quando era una ragazzina, e l’ultima nel 1784. Nel quadro al Museo Correr c’è un cartiglio con tutte le date delle vittorie e questa è la cosa sorprendente: vent’anni tra la prima e la seconda e uno pensa, ‘si sarà sposata e avrà avuto figli’, tutte cose normali nella vita di una donna a quei tempi. Poi, però, altri vent’anni tra queste due e le ultime due che ha stravinto e le hanno permesso di diventare un mito: è l’unica donna che abbia avuto un ritratto commissionato dalle società remiere.

E, “di persona”, quando ha conosciuto Maria? Il ritratto non è tale da attirare l’attenzione nel Museo Correr…
   E’ vero, ma è stato usato nel manifesto di una regata storica, l’ho appeso nel mio studio: da qui è partito il mio interesse. Perché mi interessano storie di donne particolari, veneziane che dimostrano una certa grinta, una volontà di affermarsi, di non lasciarsi sopraffare dall’universo maschile.

Un ritratto può dire molto oppure nulla della persona raffigurata: che cosa le ha lasciato intendere il ritratto di Maria che si trova al Museo Correr? Quali lati del carattere le ha attribuito lei, come scrittrice, basandosi sulla scelta insolita da parte di una donna, di vogare e partecipare a delle regate?
   Nel ritratto c’è un certo orgoglio, una certa soddisfazione: Maria stringe a sé cinque bandierine come fossero un mazzo di fiori. E tuttavia il ritratto è stato ingentilito, è un poco diverso da come sarebbe dovuta essere. L’ultima regata è del 1784, quando Maria doveva avere più di sessanta anni. Quello che mi ha colpito e che ho cercato di descrivere è la volontà di questa donna, la sua decisione di affermarsi al di là delle traversie della sua vita che non deve essere stata facile, vivendo sul lato sperduto della laguna.

Non è soltanto il personaggio principale ad essere insolito nel suo romanzo, ma anche il fatto che “Maria della laguna” è soprattutto un romanzo in cui dominano le donne, in un mondo e in una società maschili: è stata una scelta voluta, quella di fare degli uomini delle figure scialbe?
   E’ un fatto che risponde alla realtà. In quei posti gli uomini allora non c’erano: restavano a casa i vecchi o i menomati, gli altri erano fuori in mare. Quindi tutto restava nelle mani delle donne che dovevano farsi carico dell’andamento famigliare. E’ questo che mi ha portato a indugiare più sulle donne che sulla parte maschile. Le donne avevano il sapere che si riferiva alla cura delle persone, come ho reso chiaro nel libro con la figura della curatrice…

Ci sono dei tratti in comune tra questo romanzo e quello precedente da lei scritto, “Delitto al casin dei nobili”: prima di tutto sono entrambe storie ambientate nel passato. Sente il bisogno di un distacco temporale per narrare una storia?    Sì, sono affascinata da Venezia nel passato. Adesso purtroppo Venezia è diventata un’attrazione turistica, non è più la città piena di vita in cui potevano fiorire tante personalità del mondo dell’arte e della politica come una volta. Inoltre mi sono tuffata in quell’enorme testo sulla Venezia di un tempo che è il libro di Pompeo Momenti, “Storia di Venezia nella vita privata”, del primo ‘900, che ha ricostruito la vita di Venezia nei secoli passati. E’ un libro affascinante, ci si trova tutto, cronaca e descrizione dei vestiti, come mangiavano i veneziani e come conducevano gli affari.

Entrambi i romanzi sono ambientati a Venezia, o nella laguna, visto che Maria Boscola vive a Marina di Chioggia. Venezia decadente, Venezia che sprofonda, Venezia marcescente eppure sempre affascinante e unica: qual è il suo legame con la città? E’nata a Venezia?    Sì, sono nata a Venezia e proprio in questa casa sul Canal Grande, e così pure mia madre. La casa è stata comprata dal nonno antiquario. Ho passato l’infanzia a Venezia, vi ho studiato, ho imparato l’italiano andando a scuola perché in casa si parlava in veneziano. Anche mio marito è veneziano e, anche se ci siamo trasferiti a Roma cinquanta anni fa per motivi di lavoro, tra di noi continuiamo a parlare veneziano- diciamo che la nostra è un’isola linguistica, perché abbiamo mantenuto le locuzioni dialettali di un tempo, che ora non vengono neppure più capite. Sono sempre innamorata di Venezia anche se ho dovuto vivere lontano. A Venezia esci di casa e fai un percorso di bellezza. I turisti non mi infastidiscono più che tanto, sto sull’altana e li evito, non vado mai in piazza San Marco, faccio le callette minori. L’inverno è bellissimo a Venezia, da novembre a gennaio fa freddo ma le giornate sono limpide, ci sono passaggi di luce straordinari…

Una donna del popolo in “Maria della laguna”, una cortigiana in “Delitto al casìn dei nobili”, in entrambi i casi due donne che sono capaci di distinguersi nel loro ambiente: a che cosa è dovuto il suo interesse verso questi ambienti al margine della società opulenta di Venezia?    Mi hanno interessato le donne che sono riuscite a costruirsi la vita che volevano e uscire dagli schemi: Maria per un certo verso, la cortigiana Veronica Franco per un altro, anche Luisa nel “Delitto al casìn dei nobili”, che gestisce un’osteria. Sono donne libere che hanno capito che non devono dipendere dagli uomini se vogliono realizzarsi- anche se questa è un’espressione scontata.

Oltre alla modernità del personaggio di Maria, ci colpisce anche la modernità di Venezia, che organizzava, in quell’epoca, regate per donne. Quando è stata indetta la prima regata femminile?    La tradizione delle regate a Venezia è antichissima, quella degli uomini risale al secolo XIII, basta pensare che la parola ‘regata’ ha origine proprio qui ed è stata adottata dalle altre lingue. La prima regata femminile è del 1493, organizzata per onorare Beatrice d’Este ed è strano che anche l’ultima, del 1784, sia stata fatta in onore di un’altra Beatrice d’Este…Dopo secoli di sospensione, si è fatto un primo tentativo di riprendere l’usanza negli anni 1953-54: purtroppo una delle regatanti non sapeva di essere incinta ed abortì. Per quello le regate delle donne furono nuovamente sospese, fino al 1977.

In “Maria della laguna” ci sono altri due personaggi femminili al margine, discriminati: la curatrice e la bambina ebrea. Perché inserirli? Perché fanno parte del quadro dell’epoca?    Sì, senz’altro. La figura della curatrice era piuttosto comune perché unica, in un certo senso, anche se era spesso vista con diffidenza soprattutto dai preti e dalle beghine in quanto sospetta di stregoneria: chi conosceva le erbe e i modi per curare così bene, poteva anche usare le stesse conoscenze per danneggiare chi voleva colpire- almeno così si pensava. Per quello che riguarda la bambina ebrea, invece, era discriminata soprattutto perché aveva avuto dei fenomeni di poltergeist e per questo era stata accusata di stregoneria. Era diversa dagli altri bambini del paese, non si sapeva chi fossero i suoi genitori, da ciò era facile passare al sospetto e alla discriminazione.

In appendice ai suoi due romanzi c’è una serie di ricette di cucina veneta: una sua passione?    Sì, ho anche scritto un libro di ricette facili che tutti possono fare. E’ una passione che nasce dal fatto che ho dovuto imparare a cucinare quando mi sono sposata: il primo anno, quando eravamo appena sposati e abitavamo a Roma, abbiamo vissuto di carne Simmenthal e insalata. Poi mi sono stancata di questo menù e ho iniziato a cucinare, sono andata per tentativi e mi sono appassionata. E pensare che, quando abitavo in casa, al massimo preparavo il centro tavola!

E in entrambi c’è pure un glossario. Al proposito, osservando che il dialetto veneto ha una grande dignità letteraria, ci è sembrato che ci fosse qualcosa delle situazioni del Goldoni nel “Delitto al casin dei nobili”…    Il glossario era necessario, mi pareva, perché alcune parole sono intraducibili, avevano un senso solo nella loro lingua. Inoltre molti termini usati nel libro sono così specifici che neppure un veneziano li conosce, vocaboli che riguardano le barche, ad esempio, oppure i ghebi che sono i canali che si perdono nelle secche…E a proposito di Goldoni: sì, la Luisa del casìn dei Nobili riprende la figura della Locandiera che era poi una figura comune a Venezia. E così pure è vero che nel libro si sente l’andamento delle commedie goldoniane, con il dialogo, la ciacola veneziana che è un leit motiv di tutte le commedie del Goldoni e, in tono minore, del mio romanzo. Devo dire che all’inizio avevo scritto tutti i dialoghi in veneziano e poi ho dovuto tradurli, anche se ho cercato di mantenere una certa cadenza- in veneziano risultavano certamente molto più vividi.

Che ne è del dialetto veneziano? Gode di buona salute?
   Purtroppo si sono perduti molti vocaboli sostituiti dall’italiano pronunciato con cadenza veneziana. Per esempio, adesso si dice, se vedemo nel pomerigio- a proposito, non esistono le doppie in veneziano-, fino a 50 anni fa si sarebbe detto, se vedemo dopo desnar. La scuola, la televisione hanno fatto quasi scomparire il dialetto. Mi è capitato di entrare in un negozio e di chiedere qualcosa senza venire capita.