Giovani connettori di legalità

Ciclo di incontri sulla criminalità organizzata

Giovani connettori di legalità

In data 9 dicembre 2021 si è svolto il terzo ed ultimo incontro del progetto: “Giovani connettori di legalità”, tre appuntamenti pensati come laboratori intergenerazionali per promuovere "la cittadinanza attiva contro le mafie”. cofinanziato dalla Regione Emilia Romagna di cui è capofila l'Officina Progetto Windsor e a cui il Comune di Modena partecipa in qualità di partner.

I tre incontri vertevano principalmente sul radicamento della ’ndrangheta nel territorio emiliano, il processo Aemilia che è stato il maxi-processo che dal 2015 ha portato all’arresto di numerosi esponenti ’ndranghetisi, i proventi mafiosi, il riciclaggio e i condizionamenti delle mafie sulla politica e la vita democratica del nostro paese. Agli incontri, che si sono tenuti presso l'Aula Magna dell'Istituto di Istruzione Superiore "F. Corni" in via L. Da Vinci, hanno partecipato alcune classi dell'Istituto, oltre ad esponenti dell'Associazione Libera, rappresentanti degli studenti.

All'evento di Giovedì 9 dicembre dal titolo "I pesanti condizionamenti delle mafie alla vita democratica del nostro paese", è intervenuto il professor Enzo Ciconte, storico, scrittore, politico e docente di storia della criminalità organizzata e di storia delle mafie italiane, il quale ha riflettuto sul modo in cui la mafia interagisce con le istituzioni italiane e di come le due parti siano intrinsecamente interconnesse. D’altra parte, la mafia, per come la intendiamo oggi, non mira più a soppiantare le istituzioni statali, come era inizialmente concepita, ma vuole inserirsi e far parte di esse.

Ciconte ha sottolineato che ha imparato a conoscere il fenomeno mafioso fin da quand'era ragazzino, tra i banchi di scuola e, nonostante si possa sentire una forte sensazione di sconforto nei confronti della mafia, ad oggi la situazione è profondamente cambiata ed è diventata più gestibile. Una volta si era molto restii a parlare di mafia, oggi la cultura mafiosa legata al terrore e alla paura è stata superata e non ha piu la forza e l'influenza che aveva un tempo.

Gli studenti presenti si sono mostrati interessati e partecipi agli argomenti trattati; abbiamo fatto qualche domanda a Mattia, studente dell’istituto superiore “F.Corni", il quale ritiene che le nuove generazioni, grazie anche alle conoscenze acquisite negli anni, riguardanti i rapporti dello stato con la mafia, potrebbero essere in grado di debellare più facilmente questi problemi.

Tra i presenti, un ospite d’eccezione, Annarita Rechichi, figlia di una vittima di ‘Ndrangheta, il professor Giuseppe Rechichi, insegnante di matematica e fisica all’ istituto magistrale di Polistena in provincia di Reggio Calabria. Rechichi aveva la funzione di vicepreside della scuola, una scuola che aveva da poco raggiunto una propria autonomia e si era distaccata dalla sede centrale di Reggio Calabria.

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Erano le 8 di mattina del 4 marzo 1987, la scuola si era trasferita da appena una settimana e nella nuova struttura mancava ancora la linea telefonica. Annarita Rechichi racconta che suo padre prese servizio quella mattina e accorgendosi della mancanza di alcuni insegnanti, uscì per effettuare una chiamata a dei colleghi, per chiedere loro se potessero anticipare l’orario di arrivo a scuola; mentre rientrava nel complesso scolastico attorniato dai suoi alunni, il professore venne raggiunto da una pallottola vagante, sparata durante un attentato ad un direttore di banca, che si stava dirigendo verso il luogo di lavoro. Fortunatamente il banchiere rimase illeso riuscendo a ripararsi sotto un’auto, ma la stessa pallottola sparata quella mattina che mancò il bersaglio, centrò però Giuseppe Rechichi, uccidendolo.

Questo avvenimento sconvolse la vita della famiglia nonché la vita scolastica dei colleghi. Nonostante ciò, la famiglia cercò terreno fertile per poter lavorare e creare qualcosa di nuovo. La figlia racconta che suo padre è sempre stato attivo nell'ambito delle organizzazioni che miravano alla promozione di cultura antimafia, anche per dare l’opportunità ai giovani di aprire i proprio orizzonti, molto spesso circoscritti alla realtà provinciale calabrese di quegli anni. Questo contesto vedeva Rechichi promotore e protagonista,in prima fila, di una cultura basata sulla legalità; destino ha voluto che - proprio lui che ci credeva fermamente e ha lottato contro la mafia - ne sia rimasto vittima, in maniera anche se accidentale non meno brutale di qualsiasi altra vittima di mafia.

La famiglia e la scuola hanno cercato di portare avanti la sua memoria, l’istituto oggi porta il suo nome: Liceo statale “Giuseppe Rechichi”.

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"E’ nostro dovere di calabresi essere sale e lievito, segno e strumento di vita nuova per noi e per gli altri, cioè per la nostra comunità e il nostro territorio, per questo pezzo di terra che ci è stata data come casa e come missione, per questa terra così bella e difficile, così povera e così ricca, tormentata e smarrita, aspra e fragile, forte e umile, generosa e avara.” Luigi Marafioti

“Giuseppe Rechichi, un professore e una scuola”, così racconta la figlia. Il suo appello: "Possiate voi ragazzi giovani rimanere colpiti da questa storia che non è poi così lontana da voi."

La conoscenza di questi fatti tragici, non deve essere soltanto una commemorazione fine a se stessa, ma anzi un invito a noi tutti, ad approfondire la storia del nostro paese, vittime di mafia c’è ne sono state tante e la storia di Rechichi è solo una tra le tante che meriterebbero di essere ricordate e raccontate.

Che questo storia serva da monito per ricordare a tutti l'importanza della promozione di una cultura basata sulla legalità, in modo tale che questi episodi non accadano di nuovo.


Dicembre 2021

Articolo a cura di Luigi Faraci