UN SEMPLICE ATTO DI VIOLENZA, ROGER J. ELLORY

Quattro donne brutalmente assassinate da un serial killer. Quattro donne che per l'anagrafe non sono mai esistite...

UN SEMPLICE ATTO DI VIOLENZA, ROGER J. ELLORY

Seicentocinquantacinque (655!) pagine possono diventare una lettura piuttosto impegnativa, a meno che non si tratti di una trama estremamente accattivante, un meccanismo perfetto capace di tenere il lettore incollato alle pagine: è questo il caso di Un semplice atto di violenza di R.J. Ellory, uno scrittore  inglese che si è ostinato, nonostante i primi rifiuti, ad ambientare i suoi thriller negli Stati Uniti fino ad averla vinta, raggiungendocosì il meritato successo. Dei cinque romanzi che gli hanno permesso di essere finalista del prestigioso Crime Writers’ Association, sono stati pubblicati in Italia, tutti per Giano Editore, La voce degli angeli (2009), Vendetta (2010) e, recentemente, Un semplice atto di violenza.

   Quest’ultimo si apre come il più classico dei romanzi con un killer seriale a sfondo sessuale: che altro pensare, infatti, quando viene ritrovata la quarta vittima, Catherine Sheridan, con attorno al collo un sottile nastro e un cartellino beige per bagagli? Come le precedenti, è stata brutalmente picchiata e poi cosparsa di profumo di lavanda, dettaglio, questo, di cui nessuno è a conoscenza. Molte sono state le irregolarità e le imprecisioni nelle indagini, per nulla coordinate, anche perché i delitti si sono consumati in distretti diversi.

   Il caso viene assegnato ai detective Miller e Roth edappare subito necessario cercare un elemento che accomuni tutte le donne uccise. La faccenda però si complica ulteriormente: il passato delle vittime, infatti, esiste solo in apparenza. Nessuna proprietà, nessun testamento e i loro documenti rimandano ad altre persone, alcune morte da tempo, o a dati non verificabili; non ci sono parenti o amici cui chiedere informazioni, ed anche i colleghi non riescono ad andare oltre i dettagli di una conoscenza superficiale.

   Sviluppi positivi sembrano concretizzarsi quando una donna di colore, Natasha Joyce, riferisce agli investigatori di aver riconosciutonell’ultima vittima la persona che cinque anni prima, insieme ad un altro sconosciuto,si era presentata da lei per avere notizie del suo compagno, ucciso poco tempo dopo durante una retata, in circostanze mai chiarite.

   Quando, però, viene rinvenuto il cadavere di Natasha – picchiata e strangolata – ma senza nastro al collo – sembra proprio che le indagini siano finite davvero in un vicolo cieco.

   Fin qui siamo arrivati solo a pagina 200 circa, il resto è un susseguirsi di false piste, false identità, depistaggi e la sensazione che qualcuno si stia muovendo dall’interno per controllare e indirizzare le indagini in un senso piuttosto che in un altro. Il finale, dove ogni tassello di questo puzzle intricato trova la sua giusta collocazione, riserva più di un colpo di scena.

   Trattandosi di un thriller, svelare ulteriori dettagli della trama sarebbe inopportuno, ma è comunque possibile anticipare che il tutto si svolge in soli 10 giorni dalla morte di Catherine Sheridan. Una scia di sangue che, però, ha radici ben più lontane nel tempo e nello spazio, quando cioè il Nicaragua, negli anni Ottanta,è balzato agli onori della cronaca per la presenza della CIA e per lo scandalo del finanziamento ai Contras con denaro proveniente dal traffico di droga trasportata su aereidella stessa CIA: cocaina e armi erano troppo redditizi perché il flusso si interrompesse quando quella guerra immaginaria fosse finita.

   La cocaina dal Nicaragua era un modo per finanziare l’Agenzia, le forniture di armi e favori, le attività eversive e gli omicidi politici, senza contare la necessità di garantire la sicurezza nazionale. Sacrificare alcune vite – centinaia o migliaia, sono tutti “semplici atti di violenza” – per difendere l’America, per fare tutte quelle cose che altri non hanno il fegato per fare, è un prezzo accettabile da pagare. Sono questi i contorni della presunta cospirazione, o se vogliamo della teoria complotto, delineata da Ellory.

   Quali siano poi i legami con il presunto “killer del nastro”, sarà il lettorea scoprirli.


Infine, è da segnalare, dal punto di vista della struttura della trama, l’alternarsi di capitoli dedicati alle indagini ad altri nei quali un uomo che dice di chiamarsi John Robey – anche se questo non è sempre stato il suo nome – afferma di sapere tutto delle vittime e promette di portare alla luce le motivazioni, le circostanze e il disegno che sono alla base di questi omicidi:
“E’ il peso di tutte queste cose a rendermi esausto. E’ per via della Metà Silenziosa. Tutti noi abbiamo una Metà Silenziosa. E’ qui che si nascondono tutti i nostri peccati, le nostre trasgressioni, i nostri crimini e le nostre iniquità, il vacillare della ragione, della fede, dell’onestà, i nostri vizi e i nostri misfatti; e ogni volta che cadiamo in disgrazia… La Metà Silenziosa ci tormenta, ci segue come le proverbiali ombre, e aspetta, con una pazienza e una fermezza ineguagliabili. […] Il peso che porto è troppo pesante per un uomo solo. La verità è che ne ho abbastanza per tre, cinque, sette persone. Ha iniziato a sopraffarmi, suppongo; e quando riporto lo sguardo dentro di me, sulla mia Metà Silenziosa, mi rendo conto che c’è solo un modo per esorcizzare questa cosa. Raccontando la verità. Portando alla luce i recessi più oscuri, senza curarsi di chi o di che cosa verrà illuminato lungo il percorso”.

Roger J. Ellory, Un semplice atto di violenza, Giano, collana Nerogiano, pagg. 655, euro 22,00