L’ULTIMO UOMO NELLA TORRE, ARAVIND ADIGA

Tra umanità e bisogno di riscatto, le pagine di Aravind Adiga si dipanano fra le strade di una Bombay divisa fra Bollywood e imperialismo britannico

L’ULTIMO UOMO NELLA TORRE, ARAVIND ADIGA

Mumbai, Bombay al tempo in cui l’India faceva parte dell’Impero inglese: con 21 milioni di abitanti è la sesta città più popolosa del pianeta. E’ anche la capitale commerciale e dell’intrattenimento in India: l’industria cinematografica di Bollywood ha sede qui. E tuttavia è pure la città in cui i contrasti tra ricchi e poveri, già forti ovunque in India, sono più stridenti.

   “Perché al giorno d’oggi uno dovrebbe vivere a Mumbai?”- dice Mr. Puri, uno dei personaggi del bellissimo nuovo romanzo di Aravind Adiga. E prosegue: “Dovremmo andare in un posto civile come Pune. Un posto in cui i treni non scaricano ogni mattina diecimila mendicanti. Sono stufo di questa città.” Mr. Puri, la moglie e il figlio con la sindrome di Down, i coniugi Pinto (lei è cieca), l’agente immobiliare, l’assistente sociale (il marito l’ha piantata, ha due figli), il musulmano che è proprietario di un internet café, l’amministratore, l’insegnante in pensione chiamato “Masterji” (sua moglie è morta da poco, una figlia è stata vittima di un incidente mortale quando era adolescente, il figlio ha fatto carriera), la donna delle pulizie: sono alcuni dei personaggi del romanzo, gli abitanti della Torre A, uno degli edifici costruiti dalla cooperativa Vishram ai tempi del primo ministro Nehru.

   Doveva essere assolutamente ‘pucca’, cioè solido e permanente, e invece ormai è fatiscente. Quando arriva il costruttore Dharmen Shah a fare un’offerta per acquistare gli appartamenti di ogni condòmino per costruire un nuovo strabiliante complesso al posto dell’attuale edificio, quasi tutti gli abitanti della Torre A accettano: sarebbe da stupidi rifiutare quando la cifra proposta da Shah è 400 volte tanto il valore dell’immobile. Quasi tutti. I primi a tentennare sono i Pinto: come farebbe la moglie cieca a orizzontarsi in un ambiente sconosciuto?

   Insieme a loro, dapprima per solidarietà, poi per altri motivi, Masterji si rifiuta di vendere. Il problema è che occorre l’assenso di tutti per procedere alla demolizione dell’edificio. A questo punto è facile intuire come proseguirà il romanzo di Adiga: i metodi per convincere chi non è d’accordo sarebbero uguali in ogni parte del mondo. Si incomincia con le buone- persuasione, invito alla comprensione delle necessità dei più, offerte di regali extra-, si passa alle maniere più brusche- boicottaggio, molestie fastidiose, azioni volte a spaventare i renitenti (e qui i Pinto cedono)-, per arrivare infine ad un atto estremo.

   È Masterji il protagonista assoluto del romanzo, “l’ultimo uomo nella torre” non perché resta lì da solo, arroccato nel suo isolamento, ma perché è veramente l’ultimo essere con sentimenti e valori ‘umani’ ad abitare nella Torre A. ‘Umano’ non dovrebbe essere sinonimo di ‘buono’ ma in qualche modo lo è, per differenziarlo da ‘animalesco’, da un comportamento in cui prevalgono bassi istinti. Se è comprensibile e umano che gli altri condòmini vogliano i soldi offerti da Shah, perché ognuno ha dei validi motivi per desiderare una maggiore disponibilità economica, ciò di cui non si rendono conto, però, è di come il sogno della ricchezza li abbia cambiati.

   Parlando del costruttore, il musulmano Kudwa dice, “Sta trasformando delle brave persone in cattive persone. Sta cambiando la nostra natura”. Nessuno di loro capisce che Masterji difende un principio, quello della libertà- che non è solo sua. E allora il romanzo di Adiga non è semplicemente un romanzo sulla corruzione che si realizza in termini economici ma è un romanzo sulla corruzione dell’anima, sulla difficoltà di mantenere la propria dignità e integrità. Perché nessuno dei condòmini è cattivo.

   Eppure alla fine Masterji è una bestia braccata. I suoi vicini si mettono (letteralmente) il cotone nelle orecchie per non sentire, si chiudono a chiave in casa per non vedere, per non sapere nulla. Mentre tutti sanno. Sullo sfondo, l’incredibile brulichio umano che è la vita in India- mendicanti, risciò, auto di lusso, vacche sacre, templi, corone di gelsomini, inquinamento, elettricità e acqua a singhiozzo, gabinetti a cielo aperto… Non sprecherei un paragone con Dickens. Non avvicinerei Mumbai alla Londra ottocentesca. Questo è Adiga. Questa è l’India di oggi.

Aravind Adiga, L’ultimo uomo nella torre, Ed. Einaudi, trad. Norman Gobetti, pagg. 441, Euro 20,00