UN FAVOLOSO BUGIARDO, SUSANN PÁSZTOR

Un libro diverso e indimenticabile sull'Olocausto

UN FAVOLOSO BUGIARDO, SUSANN PÁSZTOR

Che tipo questo Joschi Molnár! Sarà anche un favoloso bugiardo, sarà anche un marito fedifrago, un furfante, però- diciamocelo- è tremendamente simpatico. Tanto quanto le sue figlie (i geni non mentono) che ci parlano di lui (e intanto anche di loro) e che decidono di festeggiare i cento anni del padre (ovvero, quelli che avrebbe compiuto se fosse ancora vivo) nel campo di concentramento di Buchenwald dove Joschi era stato deportato. Già questa idea ha un che di irriverente che la dice lunga sui Molnár.

Joschi Molnár ha avuto cinque figli da cinque donne diverse e tre di questi si incontrano a Weimar per recarsi insieme a Buchenwald: l’unico maschio, Gabor, e Márika e Hannah che sono quasi gemelle essendo nate a pochi mesi di distanza l’una dall’altra. La quarta presenza è Lily, figlia di Hannah. Le grandi assenti, invece, sono le prime due bambine che sono morte ad Auschwitz. Che sia la sedicenne Lily ad essere la voce narrante è importante- Lily è un punto di vista nello stesso tempo interno ed esterno alla famiglia; Lily non ha storie sul nonno da raccontare, non ha versioni diverse dei fatti da rivelare. Lily che deve scrivere una relazione su Buchenwald per la scuola varca il cancello del campo con un duplice intento, sia per cercare tracce del nonno sia per sentire le voci di tutti coloro che sono stati internati- e non badate al fatto che ha le cuffie sulle orecchie, è Lily quella che scorge la scritta sulle pietre in cui la memoria viene affidata alle generazioni a venire, è Lily che avrà l’idea gloriosa di come festeggiare adeguatamente il nonno.

Ed è anche Lily che si fa portavoce delle storie raccontate dalla mamma o dalla zia o dallo zio- è come se girasse la testa dall’uno all’altra, ascoltando senza sapersi raccapezzare su quanto sente. La rivelazione-bomba lanciata da Gabor è che Joschi non era affatto ebreo. Ha sposato delle donne ebree, questo sì, ma lui ha sostenuto di esserlo per ottenere l’indennizzo della Germania. Se poi non ha mai raccontato nulla di Buchenwald…forse non c’era mai stato: qualcuno ha provato a fare una ricerca negli archivi? E dire che la madre di Hannah ha cresciuto la figlia facendole imparare a memoria, come una litania, i nomi di tutti i campi di concentramento e che Hannah ha vissuto persino in un kibbutz in Israele, convinta di avere delle radici ebraiche.

Chi era, in definitiva, Joschi Molnár? La verità non si saprà mai. Viene fuori solo che era un fantastico inventore di storie, a giudicare da quelle che volano tra i tre figli. Persino la sua morte era stata programmata per diventare qualcosa di cui parlare: era andato in un albergo a ore per suicidarsi, ma il costo di due ore era troppo poco per riuscirci. Eppure vorrà pur dire qualcosa se figli e nipote finiranno addirittura nella stazione di polizia di Weimar per le lanterne che hanno lanciato nell’aria fuori dal campo per festeggiarlo- ci ricordano le candeline sulla torta di compleanno, ci fanno pensare alle lucine di Yad Vashem, scacciano via il pensiero delle fiamme del crematorio.

Susann Pásztor non sminuisce la tragedia dell’Olocausto in “Un favoloso bugiardo”, le dà, piuttosto, una dimensione umana che trova il suo spazio nella cosiddetta ‘zona grigia’ dove non ci furono né eroi né criminali. Leggendo il suo libro si prova compassione, si sorride, si piange, si prende parte al grande dramma e a quello piccolo che si svolge tra le mura domestiche, interrogandosi sull’essenza dell’identità e dell’appartenenza.

Susann Pásztor, Un favoloso bugiardo, Ed. Keller, trad. Fabio Cremonesi, pagg. 217, Euro 14,00