NOTTURNO, HELEN HUMPHREYS

Una toccante e profonda elegia funebre, una dolorosa e intima collezione di ricordi piena di affetto, sentimento e.. “perché”

NOTTURNO, HELEN HUMPHREYS

“Notturno”, come il titolo di un brano musicale, come un “Notturno” di Chopin, per il libro che la scrittrice canadese Helen Humphreys dedica alla memoria del fratello Martin che aveva la musica nel sangue, che interpretava il mondo con la musica, che leggeva perfino il suo conto in banca con la musica: il codice segreto del suo bancomat erano le prime quattro note della Quinta Sinfonia di Beethoven, 5552.

“Vita e morte di mio fratello”, recita il sottotitolo del libro che, tuttavia, è dedicato dalla scrittrice ‘A mia sorella’- perché  questo “Notturno” è destinato a diventare la collezione di ricordi che manterrà in vita un uomo che è morto troppo presto e troppo velocemente per un tumore al pancreas.

Ed è impossibile, leggendo il libro di Helen Humphreys, non ricordare anche le più belle elegie funebri che i grandi della letteratura hanno scritto, prima fra tutte “Lycidas” di John Milton. Perché, in “Notturno”, come in “Lycidas”, echeggia nel sottofondo la domanda senza risposta del ‘perché’: perché questa ingiustizia, perché se ne devono andare così presto delle persone di valore, come Martin Humphreys o come l’Edward King ricordato da Milton, mentre uomini malvagi o insignificanti prosperano a lungo? E a nulla servono i versi di Menandro, “muore giovane chi al cielo è caro”.

Helen Humphreys non si limita a ricostruire l’immagine del fratello in “Notturno”. Obbedendo a quanto le ha detto Martin che le è apparso in sogno, racconta a lui che non c’è più quello che le succede nella vita quotidiana. La narrazione, allora, mescola ricordi di infanzia con le strazianti immagini di Martin dopo gli interventi in ospedale, vacanze passate insieme con tour fatti di recente da Helen per presentare un libro, chiacchiere al telefono con lui ancora vivo con le chiamate che Helen fa solo per sentire la sua voce registrata sulla segreteria.

Come si fa con un ammalato in coma a cui è necessario parlare perché gli giunga un messaggio dal mondo che continua a scorrere accanto a lui, così fa Helen Humphreys con suo fratello. Gli parla. Perché non dimentichi quello che è stato, perché, nel caso si risvegliasse come Rip van Winkle, non soffra di spaesamento. E, nello stesso tempo, questo dialogo che non si interrompe, che letteralmente è un monologo ma è come se Helen sentisse i commenti e le risposte del fratello, è una consolazione per Helen, è un trattenere Martin per il lembo della camicia, perché una persona continua a vivere finché è rievocata nei ricordi. Martin che a quattro anni rubava lo sgabello alla sorella sedendosi al pianoforte al suo posto, la rivelazione delle sue doti straordinarie, le prime esibizioni e il parallelo con l’attività creatrice di Helen- note musicali per lui, parole per lei.

Gli oggetti lasciati da Martin- gli può interessare sapere come ne abbiano disposto e le sensazioni che Helen ha provato entrando nella sua casa. La vita che lui ha abbandonato, i lavoretti che gli permettevano di mantenersi senza rinunciare a quello che per lui era più importante, comporre. Quello che Helen ha fatto dopo la sua morte. Un capitolo curioso per noi è quello in cui Helen gli racconta della sua esperienza a Mantova dove è stata invitata per l’annuale Festival della Letteratura. A Martin sarebbe piaciuta Mantova- e lei gliela descrive.

Diverso da tutto quello che Helen Humphreys ha scritto finora, “Notturno” è un libro intimista che riesce a superare quanto c’è di strettamente personale nel ricordo e a rendere universale il percorso lungo e difficile della rielaborazione del lutto.

Helen Humphreys, Notturno, Ed. playground, trad. Fabio Viola, pagg.185, Euro 15,00