L'ULTIMO VIAGGIO DI AMUNDSEN, di Monica Kristensen

Estremamente documentato, dettagliato e accurato - il libro dell'autrice Monica Kristensen - è affascinante e ci fa ‘sentire’ il fascino della scoperta di luoghi inesplorati. (Marilia Piccone)

L'ULTIMO VIAGGIO DI AMUNDSEN, di Monica Kristensen

Vedo il suo nome ogni giorno, sulla targa della strada che incrocia quella dove è la mia casa: Roald Amundsen. Un nome a cui è attaccato un mito, quello del grande esploratore polare. Un nome che avevo finito per non vedere neppure più, per il logorio dell’abitudine. E verso il quale ho sollevato di nuovo gli occhi, dopo aver letto il libro di Monica Kristensen, scrittrice, glaciologa e ricercatrice polare lei stessa, di cui avevo tanto apprezzato “Operazione Fritham” e “La leggenda del sesto uomo”. “L’ultimo viaggio di Amundsen” non ha nulla di fittizio, è un romanzo-documentario, la storia della spedizione al polo Nord di Umberto Nobile con il suo dirigibile Italia, partita trionfalmente da Kings Bay nelle isole Svalbard e terminata tragicamente con la perdita di quota e lo schianto sul ghiaccio il 25 maggio 1928, e delle numerose spedizioni di salvataggio che furono organizzate subito dopo: quella italiana (l’idrovolante Savoia-Marchetti S55 con capo pilota Umberto Maddalena fu il primo ad avvistare la tenda rossa del gruppo dei sopravvissuti il 20 di giugno), quella norvegese, quella svedese (il tenente Einar Lundborg con un Fokker 31 riuscì ad atterrare sulla pista di neve e ghiaccio e a portare in salvo Nobile il 23 giugno), finlandese, sovietica (il 12 luglio la gigantesca nave rompighiaccio Krassin prese a bordo due del gruppo dei tre superstiti che si erano allontanati a piedi in direzione della terraferma e infine, il 20 luglio, 48 giorni dopo l’incidente, gli altri cinque compagni di Nobile).

Mentre l’involucro del dirigibile non fu mai ritrovato, una storia a sé dentro le molteplici storie- ognuna con i suoi drammi, gli incidenti, le polemiche, le rivalità, le accuse, le morti- occupa il suo posto nel libro di Monica Kristensen: la spedizione francese con l’idrovolante Latham 47 del cui equipaggio di sei persone faceva parte Roald Amundsen. Il Latham, partito da Tromsø il 18 giugno, scomparve- a mesi di distanza ne furono trovati dei resti galleggianti, un serbatoio vuoto, uno spezzone di ala.

Era un eroe sul viale del tramonto, Roald Amundsen. Aveva già dato il meglio di sé in anni gloriosi. E forse il suo carattere era stato forgiato e modificato da quei trionfi. Forse avevano aumentato il suo distacco dagli altri, dai comuni mortali che non avevano, come lui, sfidato l’impossibile. Si era isolato da solo, la sua autobiografia dal tono a volte sprezzante aveva suscitato risentimenti nei suoi confronti e - come in un cerchio chiuso - lui si sentiva spinto verso un obiettivo audace, più audace di quello degli avversari. Parlando di lui, l’esploratore polare Fridtjof Nansen aveva scritto all’ambasciatore norvegese a Londra, “anch’io credo che ci troviamo di fronte a un disturbo mentale, una specie di irrequietezza patologica.” C’era un alone di segretezza che circondava i preparativi di Amundsen per il salvataggio di Nobile con cui aveva avuto forti contrasti. Nessuno sapeva che rotta intendesse tenere, quale fosse il suo obiettivo: la tenda rossa o la ricerca del pallone del dirigibile Italia? Fu per questo che le iniziative per individuare il Latham tardarono. E poi anche perché era già successo che Amundsen ‘scomparisse’ per poi riapparire - lui era l’eroe mitico, il vichingo invincibile e immortale.

E invece Amundsen, che era stato in terapia per un tumore, pensava alla morte. In un’intervista aveva detto ad un giornalista italiano: “Ah, sapesse com’è bello il paesaggio lassù! E’ lì che vorrei morire, vorrei una morte cavalleresca, che mi cogliesse nel corso di una grande impresa, una morte rapida e indolore.” Parole profetiche? Chissà. E Monica Kristensen azzarda un’ipotesi (fondata su ricerche) sulla fine del grande esploratore.

Estremamente documentato, dettagliato e accurato, “L’ultima spedizione di Amundsen” è un libro affascinante che ci fa ‘sentire’ il fascino della scoperta di luoghi inesplorati, l’attrattiva di un paesaggio bello e terribile di ghiacci che ci ricorda i versi di Coleridge, Il ghiaccio era ovunque intorno:/ si spaccava e ringhiava, e ruggiva e ululava, la brama di sfidare ogni limite, il desiderio di protagonismo. Ci fa ammirare l’ardire di uomini in un’epoca che non conosceva la nostra sofisticata tecnologia e nello stesso tempo ci fa percepire la piccolezza umana.

La magia che il libro esercita su di noi è proprio in questo contrasto: è la grandiosità della natura la vera protagonista del romanzo di Monica Kristensen.

Ed. Iperborea, trad. Sara Culeddu, pagg. 454, Euro 19,50

Recensione a cura di

Marilia Piccone

leggerealumedicandela.blogspot.it

Maggio 2019

Leggi la recentissima intervista all'autrice Monica Kristensen, realizzata da Marilia Piccone a maggio 2019