LA STANZA DEI CORALLI, VALERIA MUNARI

Un viaggio indimenticabile, per crescere, capire, ricominciare

LA STANZA DEI CORALLI, VALERIA MUNARI

Opera prima. Già la definizione rischia di suonare come una scusante: “Siate indulgenti, è la prima roba che scrivo, non seppellitemi di critiche…”. Ma in un mercato italiano che pubblica ogni anno più di 60mila libri, in un paese in cui tutti o quasi hanno un romanzo nel cassetto (romanzo che, spesso, hanno pure il coraggio di far stampare...), l’indulgenza non deve per forza essere ammessa. La concorrenza è tanta, se ti arrischi a pubblicare non è più sufficiente che tu scriva qualcosa di dignitoso. Occorre qualcosa di almeno (molto) buono. Sennò la porticina del dimenticatoio si apre e richiude in un battito di ciglia.

La stanza dei coralli” è un’opera prima. Che ho iniziato a leggere durante un viaggio in treno.

Sono meno di 100 pagine, col metodo “leggo una riga sì e due no” me lo finisco in poco tempo, mi sono detto. Poi però ho iniziato… e le prime pagine non ammettevano balzelli. Ogni riga era necessaria. La scrittura aveva qualcosa di musicale, fluente, armonico. Saltare un passaggio significava graffiare la composizione, sporcarne l’eleganza.

No fast forward, please.


Fortunatamente la mia forzata permanenza su un non impeccabile interregionale è stata quel giorno lunga, zeppa di fermate dai nomi a me sconosciuti e di incroci con treni “più altolocati” da far correre avanti. Perché interrompere la lettura di questo libro sarebbe stato ingiusto, se non delittuoso.

La sinossi che accompagna “La stanza dei coralli” non ha bisogno di traduzioni/interpretazioni/postille. E' perfetta e racconta bene quello che mi aspettava in quelle 92 pagine: “Un viaggio può iniziare per molti motivi. Può capitare che due persone, lontane anni luce, si trovino a percorrere un pezzo di strada insieme, spinte dal sogno di qualcun altro. Ciò che porta Christian e Cesare a collidere, perché di collisione si tratta, è il testamento spirituale di Dario, compagno gay del primo e figlio del secondo, escluso dalla vita di quest'ultimo dieci anni prima. Così un giovane designer affermato e un vecchio padre stanco e chiuso in se stesso, accettano di portare in tre luoghi prescelti le ceneri di colui che entrambi hanno amato e perso, in modi e tempi differenti. Ognuna delle tappe rappresenterà un momento di confronto inaspettato e a tratti violento, che porterà due mondi paralleli e lontanissimi a sfiorarsi e forse toccarsi, passando attraverso chiavi di lettura personali e tutt'altro che scontate”.

Certo che per essere un'opera prima di cose dentro ce ne sono parecchie, mi son ritrovato a pensare ad ogni capitolo...

C’è l’amore – potente, lancinante, ferito - di Christian verso l’amore della sua vita Dario. Dario che non c’è più ma vive ancora in tanti luoghi e tanti ricordi. C’è l’impossibilità di Cesare di accettare un figlio come Dario, una durezza del cuore che cela nel profondo sensi di colpa e dolore. C’è una caccia al tesoro in tre tappe che regala momenti di vera commozione (kleenex a portata di mano!), umanità sparsa a grandi mani, lampi di luce ed esplosioni di sapori. Ci sono personaggi piccoli, marginali, istruiti al ruolo di comparse ma talmente grandiosi da ritagliarsi nicchie privilegiate nella memoria. Ci sono sentimenti, lacrime, emozioni e sorrisi.


Valeria Munari ha poco più di 30 anni, è avvocato (pure in gamba, si dice) e “La stanza dei coralli”, anche se stento a crederci, è davvero la sua (notevolissima) opera prima.

I casi sono due: 1) ha nel cassetto altri romanzi, molti molti, scritti ma mai pubblicati, che le hanno permesso di arrivare alla bellezza, anche stilistica, di questo. 2) ha azzeccato l’opera della vita, mettendoci dentro tutto quello che aveva.

O forse c’è una terza opzione, quella in verità più probabile: 3) è sbocciata una scrittrice di qualità, che sa scrivere (clamorosamente bene) e ha cose da scrivere. Una scrittrice di cui vogli(am)o leggere altro. E in fretta, aule di tribunale permettendo…

Valeria Munari, La stanza dei coralli, ABC srl, pag. 92, euro 9,9

Recensione a cura di: Giovanni Scalambra