LA GENTE CHE STA BENE, FEDERICO BACCOMO “DUCHESNE”

Un riuscito spin-off del divertentissimo ‘Studio illegale’

LA GENTE CHE STA BENE, FEDERICO BACCOMO “DUCHESNE”

Dopo il grandissimo successo dell’esordio Studio illegale, Federico Baccomo “Duchesne” si ripresenta ai suoi lettori a distanza di due anni con La gente che sta bene (Marsilio).

Protagonista quel Giuseppe Ilario Sobreroni che abbiamo già abbiamo conosciuto nel primo romanzo, uno dei soci più autorevoli dello studio legale che sembra aver avuto tutto dalla vita, descritto dall’allora protagonista Andrea Campi con queste parole:
   “Giuseppe è un uomo potente. C’è chi parla di lui come del mio maestro, del mio precettore, del mio dominus, ma là dove gli altri indicano l’esempio, io vedo solo mani callose, un abito più vecchio del dovuto, oltre a un numero smodato di peli nel naso. Di lui si dice: «Porta i clienti». […] Ne subivo l’ascendente, i primi tempi. Sicuro di sé, deciso, ambizioso, successful, Giuseppe possedeva il fascino di una cartolina che suggeriva oasi di serenità e benessere, iva inclusa. Ma non mi ci è voluto troppo ad aprire gli occhi: sotto quella scorza di leone scoprii ben presto l’essenza di un lama, un uomo che sputa lezioni  che mi cadono addosso come la grandine sui campi di grano in giugno. Così, ogni tanto, trae un sospiro e dice cose come un obiettivo non si raggiunge, un obiettivo si conquista. Oppure negoziare non è contrattare, è aggredire. O ancora ascolta finché devi, parla finché puoi. Io sorrido, dico: «eh», e poi comincio ad elencare mentalmente i nomi dei sette nani, così, per distrarmi da tutto”.


   Questo è l’avvocato Giuseppe Ilario Sobreroni: uno che sa come affrontare ogni situazione – dall’ordinare un frac modello Imperatore per una festa esclusiva, a “buttar fuori” l’ultimo degli esuberi dello studio legale, dal rispondere alle domande di un giornalista per un articolo su una rivista specializzata, al risolvere le piccole e grandi crisi familiari (i silenzi della moglie, la pipì a letto del figlio, i richiami del preside per il comportamento della figlia…).


   Eppure, “affrontare” non è il termine esatto: Giuseppe Ilario Sobreroni non esamina le questioni nel dettaglio, non fronteggia qualcuno con decisione e coraggio, non va consapevolmente incontro a qualcosa di impegnativo o negativo. Si lascia travolgere dagli eventi, almeno all’inizio, per poi cercare di tamponare con qualche escamotage, con frasi preconfezionate ad effetto. Concentrato com’è a tentare di mantenere a qualsiasi costo l’identità sociale che è convinto di meritarsi, nell’illusione di saper prendere le decisioni in grado di influenzare la propria vita e quella dei familiari, non sfugge la tentazione di raccontare bugie, sempre più ingestibili, a se stesso e agli altri.


   La sua certezza è che alcuni problemi si risolvono da sé, mentre altri non valgono neppure la pena di essere considerati tali. Ecco come descrive se stesso alla moglie quando, sull’orlo del licenziamento, riceve la proposta di diventare partner di uno dei più importanti studi legali del mondo:  “Tu dimmi se non hai sposato un uomo che ti riempie di emozioni. Mi sento come l’indice delle borse, scendo a picco, e risalgo come un razzo. Sono uno di quei titoli su cui speculare, quelli che fanno diventare milionari, ma solo a patto che si abbia fiducia. E io,  in me stesso, la fiducia non l’ho mai persa, mai…”.


   Giuseppe Ilario Sobreroni non dialoga, parla con se stesso. Chiede, ma si risponde da solo. Tradisce, ma non conosce sensi di colpa. Non si ritiene un cinico, solo uno che se ne frega e che non ha bisogno di giustificazioni intellettuali.

L’importante è arrivare a scoprirsi “sereno, pieno di una sorta di consapevolezza positiva, una confortante sensazione di fiducia, come se l’appianamento di ogni ostacolo sia solo questione di volontà, una soluzione evidente e a portata di mano”. Il suo equilibrio vacilla solo quando pensa di aver perso tutto, eppure – senza anticipare nulla al lettore – il destino, la sorte o la fortuna lo aiutano ancora una volta a farla franca. Potrebbe essere l’occasione buona per rimettere le cose veramente importanti al centro della propria vita ma, chissà perché, ci crediamo poco.


   Ambientato in una Milano estiva descritta con spietata lucidità e ironia, popolata da personaggi che – siamo sicuri –, deve aver davvero incontrato in taxi o al ristorante, La gente che sta bene conferma la grande abilità di Federico Baccomo nel trasformare persone e cose a prima vista banali in “materia letteraria”. Disarmante, pungente, capace di andare al di là delle apparenze e di svelare l’assurdità della vita o, almeno, di certi suoi aspetti, l’autore ci consegna una storia capace di sollecitare anche una riflessione sociale e morale, senza, tuttavia, costringere il lettore ad analisi preconfezionate. Lo lascia, piuttosto, con il sorriso amaro di chi si rende conto di aver trovato, fra le righe, anche un po’ di se stesso.

Federico Baccomo “Duchesne”, La gente che sta bene, Marsilio, pagg. 272 , euro 17.50