"La donna dal Kimono Bianco", Ana Johns

Il romanzo di Ana Johns segue un doppio filone, con due donne che raccontano la loro storia. Quella di Naoko, nel 1957, è la sua storia d’amore, esaltante e infelice, quella di Tori è un’altra storia d’amore, per suo padre, per non perderlo del tutto nella morte senza averlo interamente conosciuto.

"La donna dal Kimono Bianco", Ana Johns

C’è una statua di bronzo che rappresenta una bambina con le trecce, sulla punta di Shelter Island, vicino alla base navale di san Diego. È seduta, ai piedi porta un paio di scarpette rosse, guarda fisso il mare. Dall’altra parte dell’Oceano, a Yokohama, c’è la stessa statua. Ritrae una bambina giapponese, adottata da una coppia americana. In questa statua c’è tutto il significato della storia del romanzo “La donna dal kimono bianco” di Ana Johns.

Stati Uniti, adesso. Il padre di Tori Kovač, giornalista di indagine, sta morendo. Un padre molto amato che l’ha amata molto, che le raccontava splendide storie, tante del tempo in cui - era giovanissimo - aveva prestato servizio militare in Giappone. Le diceva di aver avuto un’altra vita, prima. Di aver anche amato un’altra donna, tanto tempo prima di aver conosciuto la madre di Tori. Una lettera, rispedita al mittente, aprirà per Tori la porta su quell’altra vita.

Giappone 1957. Naoko è innamorata, con tutto l’entusiasmo e l’ardore dei suoi diciassette anni. Sa che la sua famiglia si opporrà al suo matrimonio con Hajime. Il pretendente che suo padre ha scelto per lei è figlio di un uomo importante per i suoi affari. Mentre Hajime ha gli occhi azzurri, è americano, è il nemico.

“Sayonara”, “Il mondo di Suzie Wong”, “Madama Butterfly” - sono tante le storie di amanti segnati dalle stelle in cui ‘lei’ ha il fascino esotico della donna orientale. Nell’immediato dopoguerra, quando gli americani erano la forza di occupazione in Giappone, queste storie d’amore furono comuni- che cosa ci si poteva aspettare? Ragazzi giovani, lontani dagli affetti di casa, ragazze di una bellezza insolita. E l’attrazione per l’insolito, per il diverso, era in entrambe le direzioni. Furono emesse disposizioni che ostacolavano le unioni interrazziali. Chi riuscì a sposarsi e poi ritornò in America con la moglie giapponese, dovette affrontare le leggi americane sui matrimoni misti. Le spose giapponesi che restavano in patria furono, d’altro canto, fortemente discriminate. Diecimila bambini nacquero prima, durante e dopo l’occupazione e moltissimi furono abbandonati negli orfanotrofi o dati in adozione, come la bambina con le scarpette rosse.

Il romanzo di Ana Johns segue un doppio filone, con due donne che raccontano la loro storia. Quella di Naoko, nel 1957, è la sua storia d’amore, esaltante e infelice, con dei risvolti drammatici e una forte denuncia contro fabbriche d’angeli e la ristrettezza mentale di una vecchia cultura. Quella di Tori è un’altra storia d’amore, per suo padre, per non perderlo del tutto nella morte senza averlo interamente conosciuto. Perché Tori parte per il Giappone. Alla ricerca non sa neppure lei di chi. Ha in mano una lettera, un corto filo rosso. Ha in mente le descrizioni da favola di una casa con il tetto ricurvo, di una grande ancora. Ha al collo un sciarpa di seta rossa e bianca - lei non lo sa, ma sarà il suo segno di riconoscimento, come i suoi occhi azzurri, identici a quelli del padre.

Due immagini molto giapponesi ricorrono di frequente nel libro e, in qualche modo, sono collegate l’una all’altra. Una è il kimono bianco del titolo, che non è un kimono comune, ma uno shiromuku, un kimono con un copricapo triangolare per una cerimonia di nozze - la madre di Naoko lo porterà alla figlia perché lo indossi: il cuore grande di una mamma tutto capisce e tutto accetta.  L’altra sono le statuine dei Jizo che indossano un berrettino e un bavaglino rosso e che servono per avvisare Ojizo-sama, il monaco che aiuta ad arrivare nell’aldilà i neonati che lo stano aspettando- sono diffuse nei cimiteri di tutto il Giappone.

Questa seconda immagine, con il filone della storia che rappresenta, finisce per prevalere sulla prima e impedisce al romanzo di essere una banale storia d’amore condita da esotismo. E il romanzo che era iniziato con leggerezza romantica si ombreggia di tinte più cupe e ci ricorda i mali dei pregiudizi e delle discriminazioni.

Un’appendice molto interessante aggiunge il dettaglio che la storia di Hajime è, in parte, quella del padre della scrittrice, e fornisce spiegazioni su usanze della cultura giapponese - un romanzo che piacerà a chi sogna di andare in Giappone, a chi ci è stato e ne ha nostalgia.


Ed. Tre60, trad. Maria Carla Dallavalle, pagg. 352, Euro 16,00


Recensione a cura di

Marilia Piccone

leggerealumedicandela.blogspot.it

gennaio 2020