L’ultimo amore di Baba Dunja, Alina Bronsky

"Baba Dunja è tornata a vivere a Černovo (Chernobyl). Di qualcosa si deve pur morire e almeno lei morirà a casa sua" (M. Piccone)

L’ultimo amore di Baba Dunja, Alina Bronsky

Baba Dunja è tornata a vivere a Černovo (leggete pure Chernobyl) dopo quasi vent’anni di assenza. È tornata in un paese fantasma, ci si arriva a piedi, perché l’autobus da Malyši ad un certo punto si ferma- è il limite estremo oltre cui inizia la zona pericolosa. Ma che pericolo può esserci per Baba Dunja? ‘Non ho più ottantadue anni!’, ripete scherzando. Di qualcosa si deve pur morire e almeno lei morirà a casa sua, mangiando le verdure del suo orto, quelle che i ricercatori con le tute antiradiazioni vengono a prelevare con le pinze per metterle dentro a un barattolo. E poi Baba Dunja non ha più nessuno- il marito è morto (anche se si aggira intorno a lei, uno spettro più amabile dell’ubriacone che era in vita), il figlio è in America, la figlia è medico in Germania, non vorrebbe che lei stesse lì, le manda pacchi pieni di ogni ben di dio, soprattutto le manda fotografie della nipotina che Baba Dunja non ha mai visto. Si chiama Laura, la nipotina che ormai è adolescente- che bel nome, Laura!

I giornali hanno parlato della vecchina che ha sfidato le radiazioni, altri hanno seguito il suo esempio, ci sono sei persone che ora abitano a Černovo. Ce ne parla Baba Dunja, con un tono di voce tra l’allegro e l’ironico, con un piglio che di certo non denuncia la sua età- c’è una coppia di marito e moglie, una donna grassa con le trecce come quelle di Julija Timoshenko, un uomo vecchissimo (avrà cent’anni, dice Baba Dunja) e un altro uomo che sembra uno scheletro ambulante (è molto malato). È incredibile quanto possa essere vivace il racconto di un luogo di morte in cui non succede proprio niente. Ma non è vero, perché qualunque cosa può avere il rilievo di un grande evento in una situazione simile- il viaggio, in parte a piedi e in parte in autobus che Baba Dunja fa per recarsi a Malyši dove ritira la pensione e la posta, fa acquisti per sé e per gli altri, e poi ritorna ed è stanchissima, chissà come mai. Un giorno le arriva una lettera da Laura. L’eccitazione di Baba Dunja è uguale a quella che sarebbe se le fosse arrivata una lettera d’amore. Laura non le aveva mai scritto, ma in che lingua scrive? È in alfabeto latino e non in caratteri cirillici. Un giorno l’uomo vecchissimo le fa una proposta di matrimonio (non è mica matta ad accettarlo). Un giorno arriva un uomo con una bambina: perché la porta a Černovo? Ha il destino segnato?

Dopotutto c’è molta vita nel villaggio della morte, non si tratta proprio di amore ma c’è un matrimonio con tanto di festa, c’è addirittura un delitto su cui arriveranno da Malyši ad indagare interrompendo i festeggiamenti, c’è una specie di mutua solidarietà fra i pochi abitanti che saranno tutti indagati. Ancora una volta Baba Dunja (che un tempo faceva l’infermiera) si dimostra straordinaria, la ameremo ancora di più per tutto quello che riesce a sopportare, anche la delusione di fronte alle rivelazioni che le fa la figlia. Baba Dunja non si piega, ha una fiducia incrollabile nella positività del mondo e lei studierà l’inglese per riuscire a leggere la lettera di Laura. Che ha scritto a lei, proprio a lei. Ed è il suo ultimo amore.

Il dramma di Chernobyl non è dimenticato e non è superato. Anzi, è più che mai presente, nei ricordi e nella realtà. Ma Alina Bronsky, con la sua Baba Dunja che incarna la saggezza di chi ha visto tutto nel corso degli anni, riesce a farci sorridere anche se a volte il cuore si stringe in una morsa. Perché ha la capacità di godere del poco che ha e che le sembra tanto, perché ha capito che il tesoro maggiore di Černovo è il tempo. Il tempo non esiste proprio, a Černovo. È solo l’alternarsi di luce e buio che stabilisce il tempo, non sono certo obblighi di lavoro a determinarlo. E dove si potrebbe stare meglio che nel non tempo di Černovo? Anche la morte è già passata di lì, non sarà gran cosa incontrarla di nuovo.

Alina Bronsky, “L’ultimo amore di Baba Dunja”

Ed. Keller, trad. S. Forti, pagg. 176, Euro 12,33

Recensione a cura di Marilia Piccone

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