IL SEMINARISTA, RUBEM FONSECA

Era il più abile sulla piazza. Uccideva su commissione, lo chiamavano "Il Seminarista”. Adesso è stanco e vuole lasciare il mestiere. Però sa troppo…

IL SEMINARISTA, RUBEM FONSECA

I lettori amano sapere che tipo di libro hanno tra le mani, a che genere di letteratura appartenga. Davanti a “Il seminarista” di Rubem Fonseca restiamo spiazzati. Non è un thriller, non è neppure un noir anche se forse ci si avvicina nel quadro cupo che tratteggia di Rio de Janeiro, delle favelas, della vita quotidiana. Sul quarto di copertina leggiamo che la critica letteraria lo considera come l’iniziatore in Brasile di un genere del tutto a sé, il ‘brutalismo’.

E, in effetti, l’aggettivo ‘brutale’ è quello che viene in mente per primo, quello che più si addice alla narrativa di Fonseca, sia per il nocciolo della vicenda che racconta ne “Il seminarista”, sia per lo stile asciutto, senza fronzoli, ‘brutale’.

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Poi alla fine decisi che mi sarei ritirato dalla mia funzione, avrei smesso di essere lo Specialista- era così che il Contrattante mi chiamava. Avevo abbastanza soldi che davano guadagni in depositi bancari ed ero stanco di fare i servizi che mi chiedeva il Contrattante, pur ricevendo in cambio tutti quei bei bigliettoni. Ma, per fare questo, avrei dovuto uccidere il Contrattante, poi vi racconto come e perché.

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E’ brutale il protagonista del romanzo: lo chiamano ‘il seminarista’ perché ha frequentato il seminario- la sua formazione gli ha lasciato un bagaglio di citazioni in latino che lui ama sfoggiare e sono in contrasto ‘brutale’ con la persona che è. Perché  il Seminarista è conosciuto anche con il nome de ‘lo Specialista’: nessuno è bravo come lui ad uccidere.

È un killer su ordinazione, il migliore sulla piazza: fa un lavoro pulito, spara un colpo in testa e non vuole sapere nulla del cliente di turno, è per questo che neppure legge i giornali. Non ha mai ucciso donne- ovvero, ci sono un paio di eccezioni. Il Contrattante gli affida un servizio e lui esegue e si prende i soldi. Ama leggere poesia, gli piace il cinema, è un sentimentale (nonostante tutto) e gli piacciono le donne.

All’inizio del libro il Seminarista, José Joaquim Kibir (il suo nome ha una storia da scoprire), ha deciso che per lui è ora di ritirarsi dal mestiere. Oltretutto è innamorato e, dopo poco, la sua bionda ragazza va a vivere con lui. Ovviamente non sa nulla su chi José sia veramente. Neppure José sa molto di lei: a chi interessano le identità dei genitori, quando ci si innamora?

Eppure il futuro riserba parecchie sorprese. Non belle, a dire il vero. Perché José pensava che fosse facile smettere di lavorare, ma sa troppe cose, c’è qualcuno che lo cerca e intanto un’ammazzatina tira l’altra…

“Il Seminarista” è un libro che colpisce. Colpisce il personaggio, con il suo miscuglio di sentimentalismo e crudo realismo, un po’ come accostare un mazzo di rose rosse ad una pozza di sangue. Colpisce la sua maniera di parlare asettica del suo lavoro, quasi fosse un’occupazione uguale a tante altre. Colpisce la sua totale amoralità- anzi, il Seminarista stravolge la morale: dopotutto le persone che uccide sono malvagie, quindi è bene toglierle di mezzo. Colpisce la sua freddezza, anche quando la morte lo tocca da vicino.

Lo stile di Rubem Fonseca è perfetto per il romanzo e per il personaggio: il cinismo di questi si esprime in un’ironia grottesca che diverte e che aiuta a dimenticare  l’orrore di quello che lo circonda.

Rubem Fonseca, Il seminarista, Ed. Urogallo, trad. Marco Bucaioni, pagg. 142, Euro 13,00