IL GIOCO DEGLI SPECCHI, ANDREA CAMILLERI

Il nuovo caso di Montalbano

IL GIOCO DEGLI SPECCHI, ANDREA CAMILLERI

Esplode una bomba davanti ad un magazzino. Non provoca danni. Il magazzino era vuoto. Qualche giorno dopo esplode un’altra bomba, ancora davanti ad un magazzino vuoto. Si tratta di un avvertimento per un pizzo non pagato? Non sembra possibile né a Montalbano né a Fazio. Quando verranno trovati due cadaveri la scena diventa non solo più cruenta ma anche più complessa: un giovane è stato bruciato vivo dentro una macchina dopo essere stato incaprettato e una donna è stata sgozzata dopo che le è stata usata violenza, in maniera animalesca e selvaggia.


   Il nuovo romanzo della serie del commissario Montalbano, “Il gioco degli specchi”, ci sorprende ancora una volta con la bravura di Andrea Camilleri, per la sua inventiva, per la capacità di ritoccare il quadro dell’immaginaria Vigata rifinendolo con piccole pennellate, aggiungendo- libro dopo libro, puntata dopo puntata- tocchi di colore, per la garbatezza con cui segnala il passaggio degli anni sul personaggio da lui creato, e infine per la vivezza della sua lingua, di questo dialetto siculo a cui ha dato dignità letteraria e che abbiamo imparato leggendo i suoi libri, quasi fosse- per noi del nord Italia- una lingua straniera.


   Salvo Montalbano invecchia, come tutti noi. Ogni tanto gli accade qualcosa- una dimenticanza, un malore, una semplice difficoltà di digestione, un confronto davanti ad un corpo giovane- che gli fa ricordare che non è più quello di una volta: è come se si guardasse allo specchio facendo fatica a riconoscersi. Gli specchi appaiono spesso in questo romanzo.

   C’è un continuo gioco di specchi che deflette le immagini, distoglie l’attenzione, la devia verso altro che non è la realtà vera su cui Montalbano dovrebbe focalizzarsi. Così le bombe che in apparenza non hanno alcuno scopo, così i messaggi anonimi che ingarbugliano la matassa della trama, così pure l’elusiva e stuzzicante donna, la buttana venuta dal Nord che fa le corna al marito con il consenso di questi. Montalbano invecchia ma non è così stupidamente vanesio da pensare che Liliana lo corteggi solo per il suo fascino: che cosa vuole?


   Come avviene spesso nei romanzi di Camilleri, quello che viene alla luce nella trama gialla è un miscuglio di vecchio e di nuovo, di vecchi e non sradicabili mali che una volta erano la prerogativa della Sicilia con mali nuovi generati dai tempi moderni. C’è del vecchio e c’è del nuovo anche nei personaggi: se la madre di Arturo Tallarita sembra uscita da un romanzo dell’800, Liliana, con i vestitini che la coprono a mala pena, pare uscita dalle pagine di un rotocalco; se il contadino che denuncia l’auto carbonizzata potrebbe essere il personaggio di una novella di Pirandello (con l’aggiunta del telefonino, però), Arturo Tallarita, commesso in un negozio di abbigliamento, appartiene al mondo moderno che vorrebbe sganciarsi da pesanti legami con la mafia.


   Mi sono chiesta se i romanzi di Camilleri avrebbero lo stesso valore se fossero scritti in italiano invece che in dialetto. No, probabilmente no, a meno che la genialità dello scrittore non escogitasse un’altra formula. Perché il dialetto di Camilleri non stende una patina superficiale di colore. Il dialetto di Camilleri è colore puro. Nel contesto in cui è usato aggiunge sapore, ha il potere di evocare immagini, espressioni, sentimenti con una forza che l’italiano non avrebbe. E, se il lettore fa una certa fatica nelle prime pagine, lo sforzo ne vale la pena.

Andrea Camilleri, Il gioco degli specchi, Ed. Sellerio, pagg. 253, Euro 14,00