CICATRICI JUAN, JOSÉ SAER

La storia di quattro uomini che portano nell’anima il segno di una qualche cicatrice

CICATRICI JUAN, JOSÉ SAER

Quattro personaggi per quattro narrazioni in prima persona nel romanzo “Cicatrici” di Juan José Saer, che il giornale “The Independent” definisce come il più importante scrittore argentino dopo Borges. Quattro uomini che portano nell’anima il segno di una qualche cicatrice- mi viene da pensare al ‘fatal flaw’ dei personaggi tragici shakespeariani, quella crepa nel loro carattere che li porta alla rovina.

Le quattro narrazioni di Saer scorrono ognuna indipendente dall’altra, e però si sfiorano ripetutamente, si intersecano, il protagonista di una storia riappare marginalmente in un’altra, un incontro che ha un certo rilievo in una vicenda viene rivisto sotto una luce diversa nella storia seguente, qualcosa che era rimasto nel vago diventa chiaro più avanti nella lettura. E il personaggio catalizzatore delle prime tre narrazioni è quello che racconta per ultimo, Luisito Fiore che ha ammazzato la moglie sparandole in faccia con il fucile da caccia.

Perché le tessere di un romanzo come questo si incastrino perfettamente, deve essere perfetta anche l’architettura del romanzo, nessun dettaglio significativo deve sfuggire al lettore. Così il diciottenne Ángel, giornalista alle prime armi, conosce di persona Ernesto, il giudice che gli permette di assistere all’interrogatorio dell’omicida e che è il terzo narratore di “Cicatrici”, mentre a Sergio- il secondo narratore che un tempo esercitava l’avvocatura- viene chiesto di difendere l’imputato che è, per l’appunto, il quarto narratore da cui sentiremo per intero come si sono svolti gli eventi.

Un’atmosfera cupa grava su tutte le narrazioni. C’è forse una maggiore lievità nel racconto di Ángel, perché è giovane, frequenta gente giovane, parla di donne che ha incontrato cercando di non pensare alla madre (la sua ‘cicatrice’) di cui si vergogna. Perché la madre è capace di andare ad aprire alla porta seminuda, esce alla sera e chissà con chi va, perché, nonostante i patti che ci sono tra di loro, gli ruba la bottiglia di gin, perché la trova a letto con lo scrittore che è suo amico. E si può considerare suo amico anche il giudice Ernesto che lo invita a casa sua e gli offre una cena?

Quando Ángel ce ne ha parlato abbiamo fiutato qualcosa, senza essere certi fino a che punto Ángel sappia a che cosa miri il giudice. Quando è Ernesto a raccontare, anche se, di nuovo, niente viene detto esplicitamente, anche se Ernesto è il primo che mai ammetterebbe qualcosa, l’attrazione omosessuale di questi nei confronti di Ángel si fa chiara. E incolliamo insieme i pezzi: la moglie che lo ha piantato, le telefonate anonime che lo insultano e lo chiamano ‘frocio’, la misoginia estrema che lo porta a vedere tutti gli esseri umani come ‘gorilla’ e ogni manifestazione d’amore come un accoppiamento bestiale.

E’ chiaro quale sia la cicatrice di Ernesto, così come lo è quella di Sergio, giocatore incallito, talmente schiavo di quella che è un’ossessione compulsiva da non aver badato al messaggio che una sera la moglie gli aveva fatto recapitare- che si sarebbe avvelenata se lui non fosse rientrato subito a casa.

Se il racconto di Ángel è quasi un’introduzione, siamo poi catturati nel vortice delle dipendenze di Ernesto e di Sergio, in una spirale che ci inghiotte per risputarci in superficie ad ascoltare il racconto di Fiore di cui poco importa se sappiamo già l’esito, lo indovineremmo ugualmente nella cupa atmosfera di morte punteggiata dagli spari alle anatre che precede l’atto fatale.

Juan José Saer, Cicatrici, Ed. laNuovafrontiera, trad. Gina Maneri, pagg. 300, Euro 17,50