A CASA, TONI MORRISON

Il ritorno alla vita di Frank, reduce della guerra di Corea

A CASA, TONI MORRISON

Frank Money, ventiquattrenne, è un reduce della guerra di Corea. Sono dunque gli anni ’50: la guerra di Corea (1950-1953) è una guerra quasi dimenticata, o che viene fatta passare sotto silenzio, schiacciata tra la seconda guerra mondiale e la guerra del Vietnam. Sembra quasi che la guerra di Corea, in cui gli Stati Uniti intervennero per liberare la Corea del Sud che era stata invasa dall’esercito nord-coreano, sia stata una ‘prova’ per la ben più lunga e sanguinosa guerra del Vietnam.

Come sarebbe avvenuto un ventennio più tardi i soldati americani vennero imbarcati per combattere in un paese orientale di cui non sapevano assolutamente nulla, con cui non capivano che cosa mai loro avessero a che fare. E, come in tutte le altre guerre americane a venire, ultimissime comprese, gli uomini di colore accorsero numerosi alla chiamata alle armi- era una facile, persino entusiasmante, via d’uscita dalla miseria e dal nulla quotidiano. E, come dopo tutte le guerre, i reduci dalla Corea non trovarono un’accoglienza da eroi al loro ritorno.

Chi non è partito (e per lo più si è anche arricchito con l’industria bellica) non vuole sapere nulla di compagni saltati sulle mine, di soldati sbudellati, di pioggia battente e avanzamenti nel fango in attesa che il nemico mostri il suo volto. Il trauma bellico non è una sindrome ‘rispettabile’. Non lo è mai, tanto meno negli anni ‘50, tanto meno se chi ne soffre è un soldato di colore. E’ più facile etichettarlo come pazzo e rinchiuderlo in manicomio.
La sorte di Frank Money (che beffa, avere un cognome del genere che significa ‘soldi’) è questa. Eppure succede qualcosa che lo spinge a tirarsi fuori da una condizione disperata, alleviata solo dal bere e da un’amante compiacente. Sua sorella Cee sta peggio di lui. L’ha mandato a chiamare. Morirà se Frank non va a salvarla. Frank non sa altro, ma parte. Attraversa gli Stati Uniti, diretto in Georgia, là dove non sarebbe mai voluto tornare. L’America degli anni ‘50 è l’America del senatore McCarthy, del KuKluxKlan, della segregazione razziale, e il viaggio di Frank è un viaggio nei ricordi di un infelice passato e nell’esperienza di un ancora infelice presente. Però Frank ha uno scopo. Quando la scena cambia e Cee diventa la protagonista, il lettore scopre prima del fratello che cosa le sia successo e quanto la giovane Cee abbia bisogno di lui.


Non si può dire che “A casa”, l’ultimo romanzo della scrittrice afro-americana Toni Morrison, premio Nobel per la letteratura nel 1993, sia un libro riuscito. E’ indubbio che ci sia maestria in queste pagine, ma tutti i temi sono solo accennati- il ritorno del soldato, gli incubi della violenza da lui perpetrata in guerra, la condizione dei neri nel passato e nel presente degli anni ‘50, la discriminazione razziale, gli esperimenti medici che venivano fatti sulla gente di colore e di cui non sapevamo nulla o quasi. Tuttavia l’urlo della disperazione o del dolore è attutito, il romanzo non ci coinvolge nel profondo. Perfino la salvezza finale di fratello e sorella nel legame di famiglia recuperato sembra un poco scontato e superficiale.


Toni Morrison è una leonessa stanca. Sempre una leonessa, però. Vale la pena di leggerla e di ascoltarla.

Toni Morrison, A casa, Ed. Frassinelli, trad. Silvia Fornasiero, pagg. 175, Euro 18,50