“Vincoli” di Kent Haruf

Nel suo crudo realismo, il più bello dei romanzi di Kent Haruf.

“Vincoli” di Kent Haruf

1977. Nell’ospedale di Holt, la cittadina immaginaria del Colorado dove Kent Haruf ambienta i suoi romanzi, l’ottantenne Edith Goodnough giace in un letto, attaccata alle flebo. Fuori della porta un poliziotto fa la guardia. Arriva in città un giornalista a caccia di una storia che faccia un bel titolo e viene trattato in malo modo da Sanders Roscoe che abita nella fattoria vicino a quella dei Goodnough - sembra tutto così facile e chiaro, vero? Al giornalista sembra di avere capito tutto, no? E invece non ha capito proprio nulla, nessuno può capire senza conoscere bene Edith e la sua famiglia. Ed infine è proprio lui, Sanders Roscoe, figlio di quel John Roscoe che aveva amato Edith senza speranza, a raccontare la storia dei Goodnough.

I vecchi Goodnough erano arrivati dall’Iowa in Colorado nel 1896. Invece dei ricchi campi che avevano lasciato, avevano trovato polvere e rocce. Avevano avuto due figli, Edith e Lyman. Quando Ada Goodnough era morta - per sfinimento oltre che per malattia -, Roy aveva continuato a lavorare con i figli quella terra arida. Un uomo tremendo, Roy Goodnough, un padre padrone che era diventato ancora più irascibile e dispotico dopo aver perso le dita di entrambe le mani dentro la mietitrebbiatrice. Era stato allora che il sogno d’amore di Edith aveva avuto il breve tempo di nascere e morire. Avrebbe forse potuto sposarsi e lasciare il peso del padre in quelle condizioni a suo fratello?

“Perché, stammi a sentire:” - sono le parole che terminano il primo capitolo, mentre il secondo incomincia con: “La maggior parte di quello che sto per dirti, lo so per certo. Il resto, lo immagino”. Se Perché, stammi a sentire fosse l’incipit, sarebbe memorabile quanto Chiamami Ismaele. Si rivolge proprio a noi, c’è urgenza in quelle parole, è una storia che dobbiamo capire, che di certo lo sceriffo non ha raccontato in maniera giusta al cronista curioso, che dobbiamo sapere prima che Edith Goodnough (e Sanders Roscoe, correggendo stizzito la pronuncia del giornalista, ci ha insegnato a dire questo nome) compaia in tribunale su una sedia a rotelle. Accusata di che cosa? Dobbiamo aspettare prima di saperlo. Per ora sappiamo solo che c’è stato un incendio. E Sanders racconta e nel suo racconto la storia dei Goodnough si intreccia con quella dei Roscoe, fin da quando sua nonna aveva aiutato Ada Goodnough a partorire. E’ una lunga storia che parla di crudeltà e meschinità, di amore e di sacrificio, della fuga del figlio maschio di Roy Goodnough e dell’abnegazione che è rinuncia di sé di Edith, del ritorno di Lyman anziano su una sfolgorante Pontiac, di ‘ties that bind’ come dice il titolo originale, lacci che legano, come il fil di ferro che causa l’incidente che menoma Roy, come il filo di seta che unisce John Roscoe e poi suo figlio Sanders e dopo ancora la bambina Rena ad Edith. Fino ad un altro incidente che mette fine al breve intermezzo di gioia e libertà di cui aveva goduto Edith. Perché la vita è ingiusta ed è inutile lamentarsi.

Più che mai, in questo libro pubblicato per la prima volta nel 1984 in cui Holt appare sullo sfondo lasciando il primo piano alle fattorie, alla terra e agli allevamenti, Kent Haruf ci tiene avvinti e ci incanta con la sua narrazione - un lungo discorso diretto che riesce, in qualche maniera, a passare la parola ai personaggi come se fossero loro stessi a raccontare in prima persona. Tutto ci affascina in questa vicenda, l’intuizione oscura di quello che accadrà inevitabilmente, l’ammirazione per la protagonista e, insieme, il desiderio che si ribelli ad un destino così ingiusto e che qualcosa per lei possa cambiare, perfino lo sgomento che proviamo per la durezza di un’esistenza che ci fa apparire celestiale la nostra. E lo stile limpido di Haruf dà brillantezza ai colori, esalta le espressioni dei visi, ci trasporta a Holt.

Nel suo crudo realismo, il più bello dei romanzi di Kent Haruf.

Ed. NN, trad. Fabio Cremonesi, pagg. 264, Euro 18,00


Recensione a cura di

Marilia Piccone

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