“Sai che c’è? La tua storia la racconto io!”. Incontro in Delfini con Francesca Diotallevi ed Elena Varvello
Due romanzi necessari, perché raccontano vite che la storia non ha avuto il coraggio di ricordare.
C’è aria di storie alla Biblioteca Delfini sabato pomeriggio. Aria di storie diverse, che “rimangono dentro” come dichiara Francesca Canovi, anche quest’anno moderatrice degli incontri di “Autori in zona”, parlando di “Dentro soffia il vento” e “La vita felice” di Francesca Diotallevi e Elena Varvello.
Romanzi che in entrambi casi nascono per raccontare storie che nessuno sembra voler narrare. Che fioriscono dal silenzio, dai tabù, dal tacito accordo di un intera comunità o di una società a dimenticare, a mettere da parte. Così una traccia sbiadita, una lapide senza data sulla via francigena che accenna alla strage di un gruppo di zingari “stagnini” travolti e uccisi da una valanga, di cui le accuratissime cronache di Saint-Rhemy non recano memoria, diventa il primo incerto passo di una corsa narrativa. Il libro della Diotallevi, si legge tutto d’un fiato, assicura Francesca Canovi, così come quello di Elena Varvello.
Sono due donne molto diverse, queste scrittrici. Francesca è pacata, dotata della sensibilità delicata di chi si muove tra le storie con passo silenzioso, come per non disturbare. Elena forse assomiglia invece alla Fiamma di cui Francesca racconta nel suo libro. Sicura, sfrontata. La Varvello, definita dagli amici “la scrittrice del tinello”, la “scrittrice della Provincia”, ha l’aria di essere una che nella provincia ci arriva e la mette sottosopra. Elena parla dei suoi personaggi con la consapevolezza di chi è stata figlia ed è adesso madre. E, sebbene il suo non sia un libro autobiografico, è dalla sua storia familiare che germoglia “La vita felice”. Ettore, il padre di Elia, che rapisce col suo furgone una ragazza e la tiene prigioniera per un’intera notte, è bipolare, così come lo era il padre di Elena. “La vita felice” è stato scritto perché è arrivato il momento di parlarne, quando tutti scelgono di girare la testa dall’altra parte.
Per spiegare la sua scelta, Elena ci riporta un ricordo personale che parla di coraggio e bisogno quasi fisico di raccontare. Un aneddoto che ci parla non solo del suo libro, ma anche di quello di Francesca e di tanti altri che con i propri romanzi colmano vuoti narrativi di cui la storia è tristemente piena.
Al padre, bloccato a letto da una delle fasi depressive del bipolarismo, che le confessa “la cosa triste è che nessuno racconterà mai la mia storia”, lei in quel momento, e dopo anni con il suo libro, risponde: “Sai che c’è? La tua storia la racconto io”.
Angela Politi
6 dicembre 2016