“Le diciotto frustate”, di Assaf Gavron

Il tassista Tanin viene incaricato da un'anziana signora di indagare sull'omicidio del suo grande amore Edward. Un'avventura tra il thriller e il romantico nel cuore di Tel Aviv.

“Le diciotto frustate”, di Assaf Gavron

Tel Aviv. Quattro vecchietti, due donne e due uomini, tra gli ottantacinque e gli ottantotto anni. Tre di questi muoiono, uno dopo l’altro. Gli uomini erano arrivati da poco dall’Inghilterra per incontrare le due donne che erano state il loro grande amore una settantina di anni prima.

Un narratore di quarantaquattro anni che fa il tassista, è divorziato e ha una bambina che adora.

L’amico del narratore (che di nome fa Eitan), la giovane nipote di una delle due donne e il nipote di uno degli uomini sono gli altri personaggi di questo romanzo dello scrittore israeliano Assaf Gavron, un libro che è un mix di generi- storia d’amore, thriller con due investigatori dilettanti (Eitan e il suo amico), piccolo romanzo storico per lo squarcio che apre sul periodo del Mandato britannico in Palestina negli anni ‘40 del ‘900.

Perché il nocciolo del libro è in quelle diciotto frustate del titolo di cui scopriamo il significato- e le conseguenze- dopo che molto altro è successo. E’ un segreto nascosto nella memoria dei quattro vecchietti, e neppure tutti loro conoscono l’intera verità su quanto accadde in un tempo ormai lontano.

Lotte Pearl e Rutie Spielberg erano delle ragazzine negli anni del Mandato, Edward e James avevano un paio di anni più di loro e il fascino della divisa inglese- le due coppie erano sempre insieme, i genitori di Lotte pensavano che la figlia dormisse a casa dell’amica, ma naturalmente non era così.

E Lotte doveva essere bellissima se ancora adesso, a ottantacinque anni, colpisce Eitan con la sua prestanza, la prima volta che sale sul suo taxi per farsi portare al cimitero. Per un mese, ogni giorno Eitan porterà Lotte al cimitero sulla tomba di Edward.

C’è del tempo per le chiacchiere e per le confidenze, per sapere del grande amore, mai dimenticato anche se la vita li ha divisi, tra lei ed Edward, della felicità dell’essersi ritrovati, della fine di lui.

Ma Lotte è convinta che Edward sia stato ucciso e incarica Eitan di trovare il colpevole.

La piacevolezza della lettura de “Le diciotto frustate” è nello stile dello scrittore che cambia continuamente registro- dalle confidenze intimistiche di Eitan che è affettuosissimo con la sua bambina, forse è ancora innamorato della moglie e trova nel pugilato uno sfogo per la sua insoddisfazione, alle rivelazioni di Lotte sul passato condiviso con i tre amici, sulla nostalgia per quello che poteva essere e non è stato, sui rimorsi di coscienza, su gelosia e tradimenti, e poi ancora- virando decisamente sul colore giallo- la ridda di supposizioni, di sospetti, di sorprese, mentre altre morti si succedono a quella di Eddie.

Piuttosto attivi questi vecchietti, non c’è che dire. Ma i colpi di scena si succedono, ogni volta che ci sembra di essere sicuri su chi sia il colpevole, su quali siano state le motivazioni, ecco che cambia tutto e i sospetti (di Eitan e i nostri) puntano in altre direzioni.

Ci piace che la protagonista di un romanzo, quella che ha vissuto una romantica storia d’amore, sia- una volta tanto- una ottantacinquenne. Ci piace che la sua storia sia (per più di un verso) rispecchiata, al contrario, in quella del tassista per cui è troppo presto rinunciare all’amore. Ci piace il dettaglio storico delle diciotto frustate che sarebbe ridicolo se non fosse oltraggiosamente tragico ed è un capitolo poco noto della Resistenza ebraica.

E ci piace, infine, girare in taxi con Eitan per le vie di Tel Aviv, sentire le sue spiegazioni sui nomi delle strade, fermarci a mangiare kebab con lui- sembra essere un esperto di tutti i posti dove si può mangiare kebab a Tel Aviv: prendiamo nota, non si sa mai.

Ed. Giuntina, trad. Shira Katz, pagg. 270, Euro 18,00.

Recensione a cura di

Marilia Piccone

leggerealumedicandela.blogspot.it

gennaio 2020