“La signora della porta accanto” di Yewande Omotoso

«Un racconto godibilissimo, pieno di ironia e privo di sentimentalismi.»

“La signora della porta accanto” di Yewande Omotoso

Katterijn, un’area elegante di Città del Capo. Quando, vent’anni fa, Hortensia James, che ora ha 85 anni, è andata ad abitare al numero 10, era la prima donna di colore ad essere proprietaria di una casa a Katterijn. Il fatto che suo marito fosse bianco aumentava le chiacchiere e i pettegolezzi. Il fatto che lei, Hortensia, fosse un’affermata disegnatrice di tessuti non era di alcun rilievo. Era iniziata subito una sorta di braccio di ferro, una battaglia combattuta a colpi di parole durante le riunioni della comunità durante le quali un’Hortensia altera e sdegnosa prendeva la palla al balzo per sottolineare il razzismo (troppo spesso celato sotto una certa condiscendenza) delle altre donne. L’antagonista numero uno di Hortensia è la sua vicina di casa, Marion Agostino, 81 anni, architetto. La famiglia di Hortensia viene dalle Barbados, quella di Marion era di ebrei lituani. E se Marion abita al numero 12, il suo sogno è sempre stato di acquistare il numero 10- la prima casa da lei progettata, come un primo figlio per lei che, da bambina, aveva detto ‘vorrei essere una casa’, correggendosi poi in ‘vorrei essere una casa umana’.

Se le parole fossero coltelli, se gli sguardi potessero uccidere, Hortensia e Marion sarebbero già morte entrambe. E da un pezzo. Ora sono entrambe vedove, e il marito di ognuna ha riserbato loro una sgradevole sorpresa con il testamento. Marion non ha più un soldo e dovrà vendere la casa, Hortensia ha una figliastra di cui non sapeva nulla e deve entrare in contatto con lei secondo le disposizioni testamentarie. Peggio ancora. Succede un incidente, Hortensia è immobilizzata, con il suo caratteraccio nessuna infermiera la sopporta (e lei non sopporta loro), la soluzione che fa comodo a entrambe è che Marion si trasferisca temporaneamente al numero 10.

La scrittrice sudafricana Yewande Omotoso esordisce brillantemente con questo romanzo lieve e profondo, toccante ed esilarante. Perché la storia delle due donne anziane e litigiose si sposta agilmente tra presente e passato, ricostruisce l’incanto e le difficoltà della storia d’amore di una coppia mista negli anni ‘50 (i genitori inglesi di Peter chiedono apertamente di che colore saranno i loro nipotini), il muro di silenzio eretto dai genitori di Marion sugli eventi europei che li avevano portati in Sud Africa, il successo sul lavoro di entrambe, l’arrivo dei figli- 4, uno dopo l’altro- per Marion e il desiderio insoddisfatto di figli per Peter e Hortensia. Le due donne non smettono di battibeccare solo perché convivono per necessità. E tuttavia gli scontri verbali sono per ognuna l’occasione di indagarsi- perché nessuno dei figli di Marion si preoccupa per lei? perché Peter aveva tradito Hortensia? perché Hortensia è restia a permettere ai discendenti di coloro che un tempo possedevano il terreno su cui è eretta la sua casa di tenere lì una cerimonia funebre? Come ha potuto Marion comportarsi come ha fatto, dire quello che ha detto, ogni volta che aveva a che fare con persone di colore?

Le difficoltà pratiche ed economiche si risolvono, non è mai troppo tardi per essere onesti con se stessi, ma…si può cambiare il carattere quando si hanno superati gli ‘80? Non poteva che terminare in maniera buffa il bel romanzo di Yewande Omotoso che intreccia con garbo le vicende private delle due protagoniste con la storia del Sud Africa rivissuta attraverso quelle stesse piccole vicende private.

Ed. 66thand2nd, trad. Natalia Stabilini, pagg. 256

Recensione a cura di

Marilia Piccone

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