“L’ultimo pellegrino” di Gard Sveen

Un autore destinato a diventare uno dei più grandi nomi del thriller internazionale

“L’ultimo pellegrino” di Gard Sveen

Now may God bless you all - erano state le parole del ministro Chamberlain il 3 settembre 1939 quando l’Inghilterra aveva dichiarato guerra alla Germania dopo l’invasione della Polonia da parte dell’esercito tedesco due giorni prima. May God have mercy on your soul, aveva detto l’uomo che aveva reclutato Agnes Gerner, quello che, per mettere alla prova la sua capacità di obbedire a qualunque ordine, le aveva fatto sparare al suo stesso cane. Ed è questa preghiera che affiorerà di continuo alle labbra della giovane Agnes inviata in Norvegia dove deve fingere di essere filonazista, obbligata a fare cose davanti alle quali la sua anima si ritrae con orrore - may God have mercy on my soul -, ma c’è qualcuno che riesce a restare innocente, a non macchiarsi di alcuna colpa, durante una guerra?

Il romanzo di Gard Sveen, “L’ultimo pellegrino”, si svolge su due piani temporali- uno nel presente, nel 2003, e uno nel passato, negli anni 1942-1945. E’ un romanzo bello, bellissimo, un romanzo così intelligentemente complesso che si vuole leggere adagio, per poter riflettere. E dopo averlo finito vi ritroverete ad andare indietro, a leggere pagine già lette per cogliere quello che è entrato nella vostra mente ma che vi è sfuggito al momento. Proprio come accade a Tommy Bergmann, l’ispettore di Oslo che continua a rimuginare sul caso che deve risolvere, fa un’ipotesi e poi la smonta e ne fa un’altra, pensa a qualcosa che ha visto o sentito o letto e sa che c’è qualcosa che gli è sfuggito ma non sa che cosa sia.

L’8 giugno 2003, a Oslo, viene brutalmente assassinato Carl Oscar Krogh, 85 anni, eroe della resistenza norvegese, imprenditore edile, ex ministro del commercio.

Tre settimane prima, nei boschi del Nordmarka, sono stati trovati tre scheletri la cui morte sembra risalire alla seconda guerra mondiale. Paiono due donne e una bambina. Sul dito di una delle donne c’è ancora una fede d’oro con incisa la scritta, ‘tuo per sempre, Gustav’.

A fine maggio 1945 (la guerra era appena finita), a Stoccolma, Kaj Holt, capitano dell’organizzazione militare della resistenza norvegese, nome in codice Numero 1, si suicida. Era di ritorno da Lillehammer dove aveva parlato con Peter Waldhorst, prigioniero di guerra, ufficiale della Gestapo. Che cosa aveva detto Waldhorst a Holt per fargli dire di non voler più vivere in un mondo come questo? E poi, si era veramente suicidato, Holt, o lo avevano liquidato? Aveva lasciato un biglietto, ‘Perdonatemi. Kaj’, e l’ispettore incaricato del caso lo aveva inoltrato segretamente alla moglie. Per essere ucciso, in strada, in pieno giorno, subito dopo.

Ci sono frasi che ritornano e ritornano nel romanzo di Gard Sveen, come ritornano assillanti nella mente di Bergmann.  E nella nostra. Per sempre tuo. Gustav- si trattava di Gustav Lande, noto filonazista, proprietario di miniere di molibdeno (non bisogna essere esperti per capire quanto questo metallo fosse importante per i tedeschi), vedovo con una bambina adorabile, fidanzato con la spia Agnes Gerner che però era innamorata di Carl Oscar (di lui avrebbe dovuto conoscere solo il nome in codice, il Pellegrino). Perdonatemi. Kaj. Kaj Holt aveva sempre avuto dei dubbi sull’identità dell’uomo che li aveva denunciati ai nazisti e che era stato eliminato a mo’ di capro espiatorio. Aveva avuto sensi di colpa? E’ mai stato in Spagna?- ma che domanda era, questa che gli aveva fatto Waldhorst?

Può essere un caso scomodo, può sollevare un polverone cercare i moventi per l’assassinio di un uomo così in vista e così rispettato come Carl Oscar Krogh. Ma Tommy Bergmann non molla la presa, tormentato anche lui da fantasmi personali, da ricordi di violenza domestica (la sua compagna che lo pregava di non ucciderlo) che oscuramente equilibrano la violenza di quello che è accaduto nel bosco del Nordmarka. E sono tre le domande chiave su cui si arrovella, perché sente che la risposta ad una svelerà il segreto dietro un’altra e le collegherà tutte. Chi ha ucciso i tre del bosco nel 1942 (Gustav Lande si era suicidato due anni dopo)? Chi ha ucciso Kaj Holt nel 1945 (il suo fascicolo è scomparso dagli archivi della polizia di sicurezza svedese)? E chi ha ucciso Carl Oscar Krogh nel 2003 (con un coltello della Hitlerjugend)?

“L’ultimo pellegrino” non è soltanto un ‘giallo’, o una storia di spionaggio, o un mystery. Non è un libro che si può classificare facilmente come ‘libro di genere’ e, come ho già detto, non è un subdolo page-turner anche se la tensione è altissima. E’ un libro che, usando la finzione letteraria, ci racconta la nostra travagliata Storia del ‘900- “Questa guerra non finirà mai”, dice uno dei protagonisti e noi sappiamo che è così, perché il passato non passa mai, ma cola nel presente, si tramanda di generazione in generazione. E il romanzo di Sveen mette a nudo la grandezza e la miseria degli uomini, quelle che si rivelano nel momento buio di maggior pericolo, pone interrogativi sulla lealtà, sul tradimento, sui limiti dell’amore, sulla giustizia del farsi giustizia da sé. May God have mercy on my soul. Che Dio abbia pietà della mia anima.

Un grande romanzo. Un grandioso romanzo. Da leggere. Da rileggere.

Ed. Marsilio, trad. Giovanna Paterniti, pagg. 573, Euro 19,50

Recensione a cura di

Marilia Piccone

leggerealumedicandela.blogspot.it