“L’interprete” di Annette Hess

La protagonista del romanzo è Eva Bruhns, poco più che ventenne, l’interprete per l’appunto, che viene chiamata a tradurre le deposizioni dei testimoni polacchi durante il processo di Francoforte nel 1963. (M. Piccone)

 “L’interprete” di Annette Hess

Francoforte 1963. Il 20 dicembre inizia il processo - intestato dapprima come ‘processo Francoforte Auschwitz’ e in seguito come ‘processo contro Mulka ed altri’- contro 22 criminali nazisti. Il processo Eichmann (tenuto in Israele) è del 1961. Quello di Norimberga del 1945. L’importanza enorme del processo di Francoforte sta nel fatto che questo è il primo processo per i crimini dell’Olocausto davanti ad una corte tedesca: sono passati vent’anni dai fatti in giudizio, nel 1961 è stato eretto il muro di Berlino - un shock per la popolazione tedesca che, più che mai, vorrebbe dimenticare, rimuovere il passato, come non fosse mai successo.

La protagonista del romanzo “L’interprete” di Annette Hess è Eva Bruhns, poco più che ventenne, l’interprete per l’appunto, che viene chiamata a tradurre le deposizioni dei testimoni polacchi in assenza dell’interprete già nominato che non ha avuto il permesso di arrivare dalla Polonia. Eva si è sempre occupata di testi tecnici, la sua prima prova è, a dir poco, disastrosa. Non ha la minima idea di che cosa il testimone polacco stia parlando, non capisce bene il dialetto in cui si esprime. Persone rinchiuse, dove? Illuminate??? Ma che vuol dire? E’ tentata di rifiutare l’incarico, poi accetta. Per tanti motivi. Perché qualcosa dentro di lei le dice che deve sapere, forse anche perché è come il frutto proibito: sia i genitori, sia il fidanzato Jürgen sono decisamente contrari, anche se per diversi motivi. I coniugi Bruhns gestiscono una trattoria, la Deutsches Haus (che è il titolo originale del romanzo), e ben presto capiamo - da occhiate che si scambiano, da mezze parole (‘dobbiamo dirglielo?’) - che loro devono aver vissuto in prima persona gli eventi di cui si parla in tribunale, che sanno cose che hanno tenuto nascoste e di cui non vogliono parlare. E non sono gli unici. Perfino gli imputati si trincerano dietro i ‘non sapevo, non ho visto nulla, io non c’ero, il testimone ricorda male’. Annette Hess sceglie di dare un nome alle vittime e ai testimoni, chiama invece gli imputati con dei soprannomi che li definiscono - la Bestia, il chimico, l’infermiere, l’uomo con il profilo da becco d’aquila -, come non fossero degni di un nome e poi sono accomunati dai loro crimini, non hanno la singolarità del dolore delle loro vittime che hanno firmato con il sangue le assi delle baracche di Auschwitz.

E’ una sorta di duplice processo, quello di Francoforte 1963. Contro i criminali nazisti e contro il processo di rimozione collettiva della colpa. Contro chi ha commesso i crimini in prima persona e chi è rimasto a guardare, contro chi minimizza e chi vuol dimenticare. Contro un altro muro, diverso da quello di Berlino. Il muro del silenzio.

E allora il romanzo di Annette Hess (non perfetto, alcuni punti vorremmo fossero più approfonditi) si fa complesso e terribilmente doloroso. Per alcuni testimoni il peso della rievocazione è insopportabile (uno di loro si è aggrappato alla vita fino al giorno in cui ha deposto testimonianza, poi basta), un giovane procuratore ebreo-canadese si inventa un passato non suo e crolla sotto il senso di colpa per non aver condiviso la sorte degli ebrei di Europa, mentre Eva Bruhns (è un caso che i genitori le abbiano dato il nome della donna che fu l’amante e poi la moglie di Hitler?) si riappropria del suo, di passato - e, per quello che la riguarda, questo diventa un romanzo di formazione particolarmente duro perché passa non attraverso una morte, ma milioni di morti. I ricordi vaghi che balenavano ad intermittenza nella mente di Eva si fanno più precisi, ricordi di una bimbetta che viveva in una casa con il tetto a punta ed era stata scottata dal ferro per capelli troppo caldo di un parrucchiere che aveva un numero tatuato sul braccio. Il silenzio in casa le diventa insopportabile, il negazionismo e il bigottismo del fidanzato pure. Le colpe dei padri ricadono sui figli? Tocca ai figli espiarle? Tocca a loro il fardello del dolore della colpa se altri non se ne fanno carico?

Bello il finale a Varsavia su cui riflettere. Bello un romanzo che ci chiede di non dimenticare.

Ed. Neri Pozza, trad. Chiara Ujka, pagg. 314, Euro 18,00

Recensione a cura di

Marilia Piccone

leggerealumedicandela.blogspot.it

Maggio 2019

Leggi l'intervista all'autrice Annette Hess, realizzata da Marilia Piccone a maggio 2019