“Il latte della madre” di Nora Ikstena

Un libro incredibilmente forte, da leggere, in cui il rapporto madre-figlia si inserisce, in una maniera ricca di sfumature, in quello di un paese e la sua gente.

“Il latte della madre” di Nora Ikstena

Mia madre aspirò una boccata di fumo e per un istante restammo sedute accanto alla tomba di Bambi.

Ma perché ha mangiato il suo bambino, le chiesi.

Forse voleva evitare che finisse in gabbia, disse mia madre e mi abbracciò forte.


Rileggeremo queste frasi più avanti, in questo libro davvero molto bello della scrittrice lettone Nora Ikstena, e le capiremo meglio. Sapremo che Bambi è il criceto della bambina e che la gabbia di cui parla la madre non è soltanto quella della bestiola e che la storia di queste donne, madre e figlia, è più ampia di quanto appare all’inizio, ci introduce alla Storia dei tre minuscoli stati baltici contesi da diverse potenze straniere.

“Non ricordo il 15 ottobre 1969”- è la figlia a parlare. Di quel giorno d’autunno in cui è nata sa che sua madre era scappata per cinque giorni subito dopo averla messa al mondo perché non voleva allattarla. E’ l‘immagine portante del libro, quella del latte materno rifiutato, del seno cercato, del latte che la bambina vomita a scuola, dell’acqua calda come il latte, come il liquido amniotico nel ventre di una madre- simbolo di un rapporto complesso fatto di opposti sentimenti.

“Non ricordo il 22 ottobre 1944”- adesso è la madre a prendere la parola. In quel tremendo anno di guerra l’Armata Rossa aveva messo in fuga i nazisti da Riga. Lei neonata era stata portata via dai genitori, in una casa tra i boschi, e sì, lei, invece, era stata allattata al seno perché la sua, di madre, aveva tanto latte. Poi erano arrivati dei soldati, si erano messi ad abbattere gli alberi, avevano portato via suo padre che protestava e sua madre, terrorizzata, l’aveva chiusa in una valigia in cui aveva fatto dei buchi e si era nascosta in un armadio.

Da adesso le due voci si alterneranno, sovrapponendo i tempi della narrazione, dandoci due angolazioni diverse di visione. Nella storia privata di famiglia c’è la nonna che si risposa con un uomo, ‘il patrigno’, che sarà sempre molto affettuoso con la figliastra e con la nipote. C’è la madre ambiziosa e intelligente che diventa medico ginecologo, che resta incinta e rifiuta il suo latte alla bambina perché sa che sarebbe un latte amaro, perché lei si porta dentro il male di vivere, acuito dalla situazione politica, dalla sensazione di essere in una prigione che diventerà poi un’immaginaria cella di isolamento quando, per punizione, viene mandata a lavorare in un luogo sperduto- lei che era riuscita a praticare un’inseminazione artificiale in maniera artigianale rendendo felice una donna che credeva di essere sterile, lei che aveva un occhio diagnostico eccezionale, che aveva un numero infinito di donne incinte che aspettavano con pazienza di essere visitate proprio da lei. C’è la figlia che elemosina l’affetto della madre, che è bravissima a scuola per strappare un elogio dalla madre, che piange quando devono lasciare Riga e i nonni per quel posto nel nulla.

Nella vita da sole, di madre e figlia, qualcosa cambia lentamente. Non c’è più la nonna ad essere la figura forte di casa, si invertono lentamente i ruoli, la figlia diventa a poco a poco la madre di sua madre. Tocca alla figlia svolgere i lavori di casa, tocca a lei cercare di strappare la madre a quel buio che la tenta, all’apatia che è rifiuto della vita. Aumentano le ossessioni della madre che si identifica con i fantasmi che escono dalle sue letture, la madre è il capitano Achab che lotta contro la balena, è il Winston orwelliano stritolato dal Grande Fratello. Tanto da non accorgersi che i tempi stanno cambiando, che Breznev non c’è più, che è arrivata la glasnost, che la porta della gabbia del criceto si è aperta, che sarebbe bastato aggrapparsi a quello che aveva, al lavoro, alle sue pazienti, alla figlia, all’amica Jesi, e avrebbe visto abbattere il muro di Berlino e la bandiera bianca e rossa sventolare di nuovo su Riga.

Un libro incredibilmente forte, da leggere, in cui il rapporto madre-figlia si inserisce, in una maniera ricca di sfumature, in quello di un paese e la sua gente.

Ed. Voland, trad. Margherita Carbonaro, pagg. 188, Euro 13,60

Recensione a cura di

Marilia Piccone

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