“Eravamo tutti vivi” di Claudia Grendene

Il tempo passa inutilmente e la morte cambia le cose dei vivi- è la frase che punteggia questo bel primo romanzo di Claudia Grendene, “Eravamo tutti vivi”, un titolo pieno di lacrime e di nostalgia.

“Eravamo tutti vivi” di Claudia Grendene

Eravamo- erano i sette amici ad essere tutti vivi agli inizi degli anni ‘90 del ‘900, a Padova. Agnese la mangia-uomini, Isabella la cui famiglia era passata dalla ricchezza alla povertà, la bellissima Anita dalla pelle scura perché la madre era marocchina, Chiara che non poteva permettersi una stanza in città e faceva la pendolare dal paese di campagna in cui viveva con la famiglia, Alberto, cugino di Anita, che beveva troppo da quando era morta sua madre, Elia, l’unico che non era studente, da sempre innamorato di Isabella, e Max, infine, lo stravagante Max che aveva sfidato a braccio di ferro perfino un professore e che guidava una Harley Davidson.

Il romanzo inizia nel 2013- Agnese, ancora single, torna da Londra dove insegna all’università e telefona alle amiche. Max è morto in Messico, ci sarà una cerimonia funebre a cui saranno presenti tutti gli amici di un tempo. E, prima che il tempo si arrotoli indietro per raccontarci le storie dell’uno e del’altro, Chiara prende la bici e torna al Liviano per la prima volta dopo vent’anni. Gli studenti sono gli stessi anche se diversi, la frase cantilenante che festeggia i neo-laureati è sempre uguale, i cambiamenti sono altri, piccoli dettagli che solo chi ha visto in altri tempi le aule, la macchinetta del caffè, la fotocopiatrice, può riconoscere. Proprio come il lavoro, il matrimonio, i figli, hanno cambiato il gruppo di amici di un tempo.

Dal 2013 indietro, fino al 1994, il racconto è scandito in fasce di esperienza, a ritroso: sappiamo prima quello che accade negli anni delle separazioni, e prima ancora ci sono gli anni delle liti, quando i rapporti si incrinano (no, non tutti), e prima ancora gli anni dei matrimoni, quelli delle lauree e quelli dell’università. Seguiamo le tappe di ognuno di loro, il timido ingresso in università di Chiara e la difficile indipendenza di Elia con un padre semi-delinquente, i sacrifici e le ore di studio per arrivare alla laurea e la difficoltà di trovare lavoro, il desiderio di maternità, la perdita della propria identità di donna quando arriva un figlio, la crisi della coppia. Quelli che sembravano essere una coppia inossidabile si separano, si amano sempre, contro ogni divieto, quelli che invece hanno dovuto sposare qualcun altro. Le amicizie possono avere alti e bassi ma restano salde mentre la società cambia intorno agli ex ragazzi che hanno creduto di poter cambiare il mondo. E’ una Padova bellissima, una città che ci accorgiamo di non conoscere, quella in cui vivono i sette amici. Una città avvolta nelle nebbie invernali che si risveglia con la primavera, giovane della giovinezza dei suoi studenti contro la cui vivacità gli abitanti protestano pur avvantaggiandosene, testimone dei primi contrasti con gli immigrati che portarono al muro della vergogna per isolare il ‘ghetto’ di via Anelli.

A intervalli regolari le pagine del diario di Max, l’antieroe del romanzo, il ragazzo segnato da un male di famiglia, traumatizzato da un padre violento, in cerca dell’amore esclusivo, si inseriscono nella narrazione principale e capiamo che la sua morte è coerente con la sua vita.

“Eravamo tutti vivi” è un Bildungsroman corale, incredibilmente vivo in tutte le sue voci, tenere, scanzonate, arrabbiate, appassionate, culturalmente impegnate- è ‘la meglio gioventù’ quella che ritroviamo nelle pagine di questo romanzo. E ci prende la nostalgia non solo della giovinezza, di quando ‘eravamo tutti vivi’, ma soprattutto di un tempo in cui l’amicizia era forse ancora più importante dell’amore e le lezioni universitarie spalancavano le porte della conoscenza.

Ed. Marsilio, pagg. 282, Euro 14,45

Recensione a cura di

Marilia Piccone

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