SANA FORTES (SPECIALE TORINO)

Intervista alla scrittrice del romanzo storico "Quattrocento"

SANA FORTES (SPECIALE TORINO)

Anche Susana Fortes, come la protagonista del suo romanzo, ha studiato all’Università di Santiago de Compostela, dove si è laureata in Storia e Geografia, prima di laurearsi in Storia americana all’Università di Barcellona.
   E il suo interesse per la storia affiora nelle pagine di “Quattrocento”, che indaga su una congiura di cinquecento anni fa i cui mandanti, forse, non furono soltanto i membri della famiglia fiorentina accusata per secoli di voler soppiantare i Medici. Abbiamo parlato con la scrittrice spagnola durante la Fiera del Libro di Torino.

Perché un romanzo sulla congiura dei Pazzi?
   La congiura dei Pazzi è forse la più nota delle congiure e mi ha sempre incuriosito questo classico colpo di stato nel momento in cui nasceva uno stato moderno. E poi dietro questa congiura c’erano la Banca, il Vaticano…, e la città di Firenze era un mondo di grande vivacità. Il 26 aprile 1478 nella Cattedrale c’erano tutti gli uomini importanti del tempo: c’era Leonardo e c’erano Poliziano e Macchiavelli, e tutti furono segnati dall’essere in quel luogo in quel momento. Si raggiunse un livello di efferatezza senza paragoni e perciò questa congiura ha lasciato un segno profondo su chi era presente, se ne trovano le tracce in scritti e pitture. Il risveglio del mio interesse è avvenuto quando, di recente, in un archivio è stata trovata una documentazione diplomatica che svelava a distanza di 500 anni un codice che permetteva di decifrare dei documenti scambiati tra cancellerie dell’epoca, svelando così il mandante della congiura. Questo ha fatto scattare in me una molla: il burattinaio nascosto è passato alla storia come un mecenate, un uomo pio e devoto. Non si erano mai trovate prima le prove di questo grande tradimento, non c’era mai stata una delazione. Ho capito che potevo unire le mie passioni: il noir e l’indagine storica e accademica.

Nella postfazione ci dice di come fosse consapevole del rischio di seguire una ‘moda’ di codici nascosti. Come ha superato questo timore?
   Avevo molta paura di seguire la trappola del romanzo storico. Di fatto, appena mi sono ritrovata con questo materiale, il primo impulso è stato di tirarmi indietro proprio per timore della moda del romanzo storico, ma la storia era così forte…Il romanziere non sceglie, viene scelto dal tema, e si può solo seguire questa ossessione: questa storia era per me. Il romanzo storico ha una tradizione ricca e varia. C’è una tendenza che risponde alle pulsioni di massa, e “Il codice da Vinci” batte questa strada, e poi c’è- ed era quello che interessava me- il romanzo storico come “Il nome della rosa” che introduce il gioco della finzione nell’analisi del passato. Umberto Eco è il maestro. Questo romanzo richiede ricerche rigorose di tipo storico che vanno combinate con l’interpretazione dell’immaginario.

Dal 1478 ad oggi, con due storie: è pura invenzione?
   Gioco con la finzione e la realtà. Ci sono personaggi reali e personaggi di finzione in entrambe le parti, nella storia ambientata nel 2005 quelli di finzione sono più numerosi. La trama nel 1478 è impostata su personaggi noti ed esistiti, quindi la parte di finzione in quel periodo storico era un meccanismo che mi dava libertà narrativa. Per articolare la trama in due tempi era importante trovare l’idea narrativa che mi ha permesso di decidere per una certa forma. Quando ho capito che volevo usare due momenti, ho anche capito che sorgeva il genere thriller- era il rapporto tra un’indagine poliziesca e l’indagine storica e accademica. Ci sono tutti gli ingredienti: un quadro importante negli Uffizi, un restauratore con un dono particolare nello sguardo, la giovane ricercatrice spagnola che arriva a scoprire degli indizi, il professore che sa molto più di lei. Tutto collocato nel 2005, l’anno della morte di papa Woytila, un momento di lotte intestine feroci nella Chiesa. Questo mi ha permesso di trovare la giusta tensione per il racconto e mi sono posta la domanda: quale rapporto ci può essere tra la morte del Papa nel 2005 e i fatti accaduti 500 anni prima? per me la Storia, se serve a qualcosa, dovrebbe essere per farci capire il presente.

C’è un dettaglio che ci ha incuriosito: la prima edizione dei fumetti di Corto Maltese che il padre di Ana è riuscito a far autografare dall’autore grazie all’amicizia con Umberto Eco. Lei possiede la copia autografata da Hugo Pratt?    Corto Maltese è il personaggio delle mie letture di adolescente, ho quasi tutti i libri di Hugo Pratt, era una mia mania. Tanto che ad un compleanno mi fecero una sorpresa: bussarono alla porta, aprii, c’era un Corto Maltese di cartapesta in grandezza naturale. Però non ho la prima edizione autografata. Il mio primo libro era un omaggio aperto al personaggio, si intitolava “Querido Corto Maltes”, una dichiarazione d’amore. E mi spiace di non aver potuto incontrare Hugo Pratt di persona, era già molto ammalato quando ho fatto io stessa la presentazione della versione spagnola della “Ballata del Mare Salato”. Sono una divoratrice di fumetti ma sono monogama nella mia passione.

In genere usiamo il verbo ‘leggere’ per un libro, e invece nel romanzo si accosta il leggere anche ad un quadro, a delle fotografie, a un film: è diversa la chiave di lettura delle immagini da quella delle parole?
   La maniera di guardare un quadro è come guardare tutto un mondo: ci sono tante storie in un quadro. Il critico d’arte John Berger dice che non è necessario avere delle conoscenze accademiche per interrogare un quadro. E’ un’avventura appassionante sapersi mettere dentro un quadro; ogni quadro rinchiude un segreto, non un segreto sull’arte ma un segreto sulla vita.

Un dettaglio che ci ha incuriosito è quello della foglia di rucola, simbolo di una società segreta: vero o invenzione letteraria?
   La rucola ritorna in molti quadri e ci sono molte speculazioni su di essa. Il significato è chiaro: è cruciforme, amara, e quindi connessa con la crocifissione che fu la prima cospirazione. Mi è parso un tratto simbolico, verosimile, per questo l’ho messa nel libro.

E qual è il suo rapporto personale con Firenze, visto che certamente, come Ana, vi avrà passato un periodo lungo per le ricerche?
   Ho passato quasi nove mesi a Firenze, in un appartamento di 40 metri quadri, come quello di Ana, un periodo delizioso. Non volevo che Firenze fosse solo uno scenario sullo sfondo, volevo una città che respiravo. Non volevo una città da archivio, volevo passeggiare per Firenze. E mi sono emozionata quando ho visto il luogo dove c’era la bottega di Verrocchio e Leonardo e Botticelli. La mia visione era dal di fuori, di una studentessa spagnola, che non è la stessa visione di un fiorentino, ma è facile per Ana immaginare figure come in film dell’epoca, perché a Firenze il passato è a fior di pietra.