REBECCA STOTT

Ricerca scientifica, etica, alchimia, Cambridge e... Isaac Newton: ne abbiamo parlato con l'autrice del bel romanzo "Il codice di Newton"

REBECCA STOTT

La prima reazione di un lettore casuale, leggendo un titolo come “Il codice di Newton”, è di noia irritata: ma come? Un altro codice da decifrare? Se, però, presta attenzione al titolo inglese, “Ghostwalk”, può iniziare a sospettare che si tratti di un libro diverso. Lo è, in effetti, e ne abbiamo parlato con l’autrice Rebecca Stott, che insegna Storia della Scienza a Cambridge.

Il lettore può provare un certo sconcerto nel vedere che personaggi famosi del mondo della cultura entrano uno dopo l’altro nella finzione narrativa. Questa volta si tratta di Isaac Newton, eroe impensabile: perché lo ha scelto?
   Diciamo piuttosto che questa storia mi ha scelto. Leggevo su Newton, senza avere nessuna intenzione di scrivere su di lui. E leggevo di come avesse ottenuto molto giovane una Fellowship al Trinity College, e di come questo fosse straordinario perché non c’erano posti liberi. Poi in una nota ho letto anche che quattro o cinque cattedratici erano morti accidentalmente, cadendo per le scale, e ho pensato a come tutto ciò fosse singolare: si stava parlando di uno scienziato, un uomo che aveva fatto grandi scoperte e niente di questo sarebbe successo se non avesse ottenuto quella Fellowship. E se Newton fosse stato coinvolto in quelle morti? E se ci fossero stati dei delitti dietro l’eroe dell’Illuminismo? Ho iniziato a fare ricerche, sempre senza alcuna intenzione di scriverci un romanzo: Newton si rivelava un personaggio affascinante per questo legame tra luce e ombra che si verificava in lui. C’era molto buio nella sua personalità, poteva essere ossessivo e violento, sospettoso degli altri, timoroso della fine del mondo. Mi è parso che il contrasto tra luce e buio fosse materiale ottimo per un noir: Newton come protagonista di un noir oltre che dell’Illuminismo.

E perché scegliere di sottolineare il suo coinvolgimento con l’alchimia?
   Il mio libro è motivato dalla preoccupazione di dove finisca il razionale ed inizi l’irrazionale. Newton è un personaggio della razionalità, eppure un sesto dei suoi libri riguarda l’alchimia. Noi pensiamo all’alchimia come ad una specie di stregoneria, o di magia, ma per Newton non c’era differenza tra scienza e alchimia. E per me questa era un’area ricca per la ricerca filosofica: Newton voleva scoprire le leggi della natura e, come gli alchimisti, credeva che gli antichi filosofi avessero già scoperto le grandi verità. Quello che lui faceva era riscoprire quelle verità ma attraverso l’alchimia, per fare ciò era necessario decodificare gli antichi testi dell’alchimia. Ma la chiave di tutto era che non c’era distacco tra alchimia e scienza.

Il secondo filone del romanzo è molto interessante e anche molto discusso. E diventa pure molto complesso. Che cosa pensa della ricerca scientifica fatta con esperimenti su animali?
   Mentre facevo le ricerche per il romanzo sono giunta ad una posizione di forte opposizione alla ricerca sugli animali. Sono rimasta sconvolta dal numero degli esperimenti che vengono eseguiti e gli scienziati fanno apparire come essenziali questi esperimenti, ma la verità è che solo il 15% degli esperimenti sono finalizzati ad un miglioramento delle cure mediche. E’ una statistica impressionante- eppure nel mio ambiente, a Cambridge, i miei amici accademici sono tutti a favore della sperimentazione sugli animali, l’opposto sarebbe addirittura impensabile.

Il problema è vasto, dopo tutto coinvolge qualunque tipo di uccisione di animali, o no? Voglio dire: c’è differenza tra uccidere gli animali per mangiarli o per prenderne la pelliccia e, invece, per la ricerca medica?
   Non penso proprio di essere in grado di offrire alcuna soluzione al problema, però penso che- pur con la consapevolezza che l’uomo debba nutrirsi degli animali- ci debba essere una regolamentazione adeguata sugli allevamenti massicci degli animali. Penso che si debba discutere l’etica del nostro rapporto con gli animali e che non si debba dare per scontato che non ci sia nulla da fare.
Volevo creare con i miei personaggi una connessione tra l’industria farmaceutica e gli esperimenti sugli animali; poi, facendo le ricerche per il romanzo, ho scoperto cose tremende. Scrivere questo romanzo mi ha politicizzato in una maniera che non mi aspettavo.

Il tema del libro- di cui non voglio parlare troppo apertamente- è anche il rischio che c’è sempre stato, di trasformare una scoperta da buona in cattiva. E’ questa la connessione tra i due filoni del romanzo, tra l’alchimia e le nuove ricerche?
   Sì, certamente. Volevo dimostrare che non esiste la scienza pura, volevo che si vedesse il buio dietro la luce che Newton rappresenta. Pensiamo sempre che la scienza sia un bene, ma la scienza non opera in un vuoto. Gli scienziati dipendono dal mondo dell’economia e della politica- è questo che volevo mostrare con le due trame. Per gli scienziati c’è sempre il pericolo che la loro scoperta, pura di per sé, venga alterata, venga trasformata in qualcosa di buio e di male.

Nel libro di Elizabeth Vogelsang, “L’alchimista”, Lei ha scritto un romanzo dentro il romanzo: il libro di Elizabeth, cioè la biografia di Newton, era un libro che Lei stessa avrebbe potuto voler scrivere, scegliendo poi di inserirlo ne “Il codice di Newton”?
   Sono un’accademica e il libro che ha scritto Elizabeth Vogelsang è il tipo di libro che ho sempre scritto io finora. Volevo cogliere l’opportunità di mescolare il genere della fiction con la non-fiction: il libro di Elizabeth è basato sui fatti e sono io che ho fatto le sue ricerche. E volevo fare quasi un esperimento di alchimia, mettendo un libro dentro l’altro: per me è stato un esperimento fantastico. Era una prova su generi narrativi diversi e il libro è un esperimento alchemico che mescola generi, sconcertando il lettore che non sa quali regole seguire nella lettura.

Bello il titolo originale, “Ghostwalk”, molto meglio di quello italiano che mi pare banale: che idee voleva suscitare con questo titolo?
   “Ghostwalk” per me, prima di tutto, era la camminata che viene fatta fare ai turisti sulle tracce dei fantasmi che popolano le vecchie città. Lydia diventa la strada che percorrono i fantasmi quando va dalla medium e viene ‘posseduta’ da uno spirito. E poi l’immagine della camminata dei fantasmi diventa per me una metafora per l’investigazione storica: quando faccio ricerche su personaggi del passato, Darwin o Newton, il rapporto tra me e il passato è così intenso che divento io stessa una sorta di strada che porta alla ricostruzione del passato nel presente- vedo il mondo con gli occhi dei personaggi su cui faccio ricerche, sono ‘invasa’ da loro.

La bella Cambridge che Lei dipinge ha anche un aspetto inquietante aggiunto alla pacifica bellezza. Come è la vera Cambridge dietro l’immagine stereotipata che noi ne abbiamo?
   Cambridge è bella, bella da togliere il fiato. Vado al lavoro in bicicletta, passo tra college antichi di secoli, accanto a vecchie mura, cancelli che si aprono su giardini nascosti. Al di là delle vecchie architetture Cambridge è piena di porte chiuse su segreti- il luogo è una metafora stessa dell’apprendimento, è un luogo di fantasmi, traboccante di storia e di segreti.