LAURA SCOLARI

Intervista all’autrice della raccolta di poesie 'Giocolieri di luci ed ombre'

LAURA SCOLARI

“Un vento girovago di caos e follia”, così ne parla la sua penna. Una raffica esaltante, indiavolata. È la poesia che pompa energia, pari alla vita: turbinosa come mulinelli. E soffiandosi sopra scambievolmente, le due, si ossigenano, in un equilibrio costante e precario “di luci e ombre”. Quelle del titolo, del tempo. Le stesse con cui si misurano i giocolieri di Laura Scolari, nella sua raccolta di poesie per le edizioni Giovane Holden, in un “lungo viaggio dolce ma incerto” di cui abbiamo discusso, indagandone l'essenza, in compagnia dell'autrice.

Quando hai cominciato a scrivere poesie?

Nel senso pieno della parola, blocchetto e penna alla mano, da non molto tempo: qualche rima sparsa qui e là sulle pagine spiegazzate dei vecchi libri di scuola, davvero troppo noiosi per non essere imbrattati. Ma il mio primo approccio con la poesia è stato qualcosa di molto diverso, lontano, quasi atavico, senza un incipit vero e proprio: ho tracciato e séguito a tracciare la mia visione “poetica” del mondo, delle cose, sin da piccola, dacché ho memoria e coscienza.

A chi hai letto, per la prima volta, una tua poesia?

A me stessa, a “voce sola”, come amo dire, cercando di dare ai suoni la giusta intonazione, mentre la parte critica di me, il lettore più temuto, mi ascoltava e giudicava a più riprese - ora con una smorfia di insoddisfazione, ora con un accenno benevolo sulle labbra - ché solo quando riesco a inumidire gli occhi, i “suoi”, posso ambire a sortire lo stesso effetto sugli altri. Ecco, è allora che si palesa la poesia.

A chi hai dedicato, per la prima volta, una tua poesia?

A un anziano signore, più di vent’anni fa. Fu una dedica postuma: si trattava di amico di mio nonno, una persona di famiglia venuta a mancare all'improvviso. Ho sentito un'immensa tenerezza per quella figura delicata e curva andatasene così, senza far rumore, e provato la necessità di riempirne il vuoto con parole pregne di significato.

Definisci “salvifica” la poesia. Perché?

“Che porta o garantisce la salvezza spirituale”: è la definizione reperibile su qualsiasi dizionario, ed è anche lo scopo della mia poesia. Mi piace definirla così, come una “medicina dell’anima”. C’è chi occupa del dolore “fisico” – lo definiamo dottore - e chi cura i malanni “metafisici” - lo si chiama poeta – più intimi e ostili da alleviare, perché quasi impercettibili, e distintivi della condizione umana.

Chi sono, fuori di metafora, i giocolieri del titolo?

I giocolieri di luci e ombre sottendono due diverse figure riconducibili, in realtà, alla stessa: la prima è quella del poeta, che con le parole sa giocare dosandole, aggregandone i colori per creare nuove combinazioni emotive, un prestigiatore sempre in bilico sulla fune dello “stupore”, diviso fra zone d'ombra e di luce in cui tenere viva l'attesa di chi lo segue, il lettore, fino al raggiungimento della sua meta, estatica; la seconda è, semplicemente, la figura dell'uomo, che fra il buio e il chiarore vive nel quotidiano, in cerca dell'equilibrio esatto fra ragione e sentimento, dolore e gioia, realtà e apparenza, pieno e vuoto, vacuità e poesia.

Il maggiore poeta contemporaneo?

Rischiando di sembrare scontata, dico Alda Merini, che è stata forse la più grande poetessa (e profetessa) a cavallo fra il secolo scorso e l'età presente, col suo stile frammentato e visionario, dritto e disarmante, e la sua voce lenta, scandita. Una donna magnetica, sofferente, capace di tramutare il dolore in forza, in energia poetica; una che il poeta – e come non essere d'accordo – lo considerava alla stregua di un unicorno, un essere etereo in un mondo a parte, così solo che a volte, se capace di arrivare alle orecchie di chi può “sentirlo”, sa raccoglie in sé tutta la gioia dell’universo.

Un riferimento all’Ofelia di Shakespeare, uno al Dorian Gray di Wilde. Quale il personaggio letterario più “poetico”?

Nascendo da una contraddizione di fondo, la poesia, e generando un sentimento di melancholy inedito, violento, straripante, entrambi i personaggi, Ofelia e Dorian, impersonano elementi altamente poetici: la tensione tra la bellezza, vitalissima esplosione estetica, e la morte, lo spegnimento nell’oscurità. Tuttavia, se dovessi scegliere fra i personaggi letterari il più tragico, quindi poetico, direi il Faust del Marlowe, che sembra più volte redimersi e salvare la sua anima inguaiata, ma la parte vanagloriosa prende il sopravvento: c'è lì, in lui, la messa in luce del nostro lato oscuro, quella parte malvagia che ci riguarda tutti da vicino, esseri terreni e finiti come siamo.

Il testo di un tuo componimento, Pace, è anche grafico e onomatopeico. Non solo parole, dunque, nella tua scrittura poetica…

Sì, la poesia serve a esprimersi, a raccontarsi nell'intimo, ma alla parola scritta possono affiancarsi altri “trasmettitori”: quello interpuntivo – volessi rendere l'idea di pace, ad esempio, potrei usare i puntini di sospensione, mentre per il concetto di confusione sarebbero comodi segni come il cancelletto (#) o espedienti grafici come l'uso del grassetto (frastuono lacerante####) – quello sonoro e onomatopeico – penso al “shhhhhhhhhhhhh” per suggerire il far silenzio – l'altro ritmico – i trattini per prolungare una pausa: “---------------”. Cosicché tutti e cinque i sensi siano stimolati nell'attivazione del sesto: l’emotività. Del lettore.

Tre aggettivi per definire la tua scrittura.

Visionaria, pura, nuova.