BEN PASTOR

Intervista all'autrice della riuscita raccolta di racconti "La Morte, Il Diavolo e Martin Bora"

BEN PASTOR

Conosciamo bene Ben Pastor, la scrittrice italiana che ha vissuto così a lungo negli Stati Uniti da aver adottato l’inglese come lingua per i suoi romanzi, abbiamo letto tutti i suoi libri che hanno per protagonista l’ufficiale della Wehrmacht Martin Bora e anche quelli della nuova serie con Elio Sparziano, ambientati nell’antica Roma. E, per non ripetere domande già fatte, le chiediamo solo di soddisfare qualche nostra curiosità riguardo al libro appena pubblicato, “La morte, il diavolo e Martin Bora”.

Il titolo originale di questo libro è “Odd pages”, Miscellanea, Pagine Sparse…Quello italiano suona molto più romantico, con il richiamo al libro di Mario Praz, “La morte, la carne e il diavolo”: come mai questa scelta?
   Il motivo per cui il libro ha in italiano un titolo diverso è prima di tutto di ordine pratico, per l’impossibilità di rendere le pregnanze dell’aggettivo inglese odd- in inglese il significato è di pagine dispari ma anche di pagine strane… La scelta del titolo italiano, “La morte, la carne, il diavolo e Martin Bora” è dovuta a motivi sia letterari sia di carattere visivo, con il ricordo della famosa incisione di Dürer riecheggiata da un’incisione simile della seconda guerra mondiale, in cui l’autore ripeteva le immagini di Dürer in maniera militaresca: il cavaliere che Dürer rappresenta come Everyman, l’uomo qualunque che si confronta con il diavolo e con la morte. E’ un po’ come il tarocco numero 6- Ercole al bivio tra la via facile e la via difficile.

Mi è parso che, con queste storie lunghe, si sia voluto riempire degli spazi vuoti, sia nella vita del personaggio Martin Bora, sia forse nell’ambito dei Suoi stessi interessi. E’ così?
   E’ vero, nel caso di Martin Bora la mia intenzione non è letteraria ma ontologica: arrotondare il margine di questo personaggio che mi interessa anche come persona, come essere umano. Ognuno ha tempi pieni e tempi vuoti, tempi pubblici e tempi privati: volevo riempire i tempi privati della sua vita con casi che hanno la giustificazione di un mystery ma che nello stesso tempo riempiono piccoli aspetti del suo pensare o del suo relazionarsi con gli altri e che non diventeranno mai dei romanzi- non ha senso scrivere 50 romanzi con lo stesso personaggio, e tuttavia mi interessava mostrarne degli aspetti con una forma più breve e più agile.

Gli ultimi due racconti hanno per protagoniste, piuttosto stranamente nel contesto della Sua opera narrativa, due figure di donne- per significare che cosa?
   Le due donne sono la quintessenza dell’eterno femminino, sono due donne magiche che hanno una genesi diversa. Remedios è la bruja, la strega che è il riflesso delle passioni degli uomini per lei, ed è diversa dalla maga arcaica i cui poteri sono reali e che assume diversi nomi- Calipso, Circe, Melusina. Remedios è l’eterno femminino che gli uomini vorrebbero; Kiria, la signora, è una figura parallela, è la ‘signora delle belve’, l’entità pre-greca che non ha bisogno di proiezioni- è introiettata. Sono personaggi femminili che non hanno un ruolo da attori, sono come un coro, se si può dire così anche di una voce unica.

E tuttavia il Suo nodo centrale è sempre la guerra: da dove questa fascinazione, questa ossessione per la guerra?
   Ci saranno certamente dei motivi psicologici, e forse ci sono dei motivi generazionali: quelli della mia generazione sono il prodotto di genitori e di una società che sono stati formati o deformati dalla guerra, tanto che è difficile non pensare in quei termini. Da un punto di vista letterario la guerra dà l’ansia di un momento forte: ci sono persone che pensano che nelle crisi i sentimenti sono più chiari e più nitidi- per questo mi interessa scrivere di periodi di crisi estrema. Ed è anche la lettura di una specie di stanchezza di un periodo privo di ideali come quello che ormai attraversiamo da decenni.

Abbiamo notato che, finora, non ha mai parlato della guerra del Vietnam: pensa che ambienterà qualche futuro romanzo o qualche racconto, durante la guerra del Vietnam?
   Quando ero molto giovane, ma veramente molto giovane, avevo scritto una serie di racconti sulla guerra del Vietnam, con tutte le trivialità che un’adolescente poteva trovare nella sua visione ingenua di un conflitto come quello. Forse me ne sono tolta la voglia, potrei anche tornarci sopra ma tendo a rispettare quello che è stato fatto al riguardo negli Stati Uniti- ci sono dei racconti bellissimi di Tim O’Brien- e non intendo cimentarmi anch’io.

Ci sono poi dei racconti che sono al limite del concreto, al limite del terreno, racconti che sembrano indugiare sulla soglia dell’aldilà…
    Ho sempre avuto una passione per le ghost stories come un genere letterario che permette una latitudine enorme ed è un vero peccato che non sia gradito al pubblico di lettori italiani. Una ghost story è come un thriller eterno, questa liminalità può essere giocata come un sogno, una fantasia, un’alterazione delle coscienze, e può essere letta come una visitazione, una teofania che capita e si ha poi difficoltà a digerire nell’ambito del quotidiano. Nella storia ambientata a Gallipoli c’è un momento estremo di tensione tra i due che cercano di ripetere l’atto di Ulisse, e nella storia di Nino Bixio c’è il personaggio che incappa in un vortice di un altro tempo: è come se passasse in un’altra dimensione. Mi interessava parlare di questa liminalità che potrebbe essere ma non è.