INTERVISTA A STEFANO CASINI

Disegnatore di punta di casa Bonelli, autore completo capace di dare alle sue opere un tocco personale mai scontato, Stefano Casini racconta la sua infanzia nell'ottimo "Di altre storie, di altri eroi"

INTERVISTA A STEFANO CASINI

Dal 1991 Stefano Casini (Livorno, 1958) è uno dei disegnatori più apprezzati di casa Bonelli. Il suo talento ha reso indimenticabili molte storie di Nathan Never ("Gli occhi di uno sconosciuto" rimane una delle vette delle avventure dell'Agente Alfa), di cui ha realizzato più di 50 episodi, e di Dampyr.  Come autore completo ha realizzato emozionanti graphic novel pubblicate anche in Francia e nei più importanti mercati internazionali.

Lo abbiamo intervistato dopo l'uscita del suo ultimo lavoro, "Di altre storie, di altri eroi", un opera sincera e calda in cui l'autore recupera e mette su carta i suoi ricordi d'infanzia.

Vista la tua biografia artistica praticamente sterminata, a cui solo in breve abbiamo accennato nell’introduzione a questa intervista, lasciamo a te l’onere di presentarti, come preferisci, ai lettori di Stradanove.

In effetti, avendo una produzione piuttosto estesa, bypasserei tutto e inizierei in altro modo...

Sono una persona che ha avuto la possibilità di realizzarsi nel lavoro che gli è sempre piaciuto fare e, all'interno di questo, ha anche avuto la possibilità di cambiare, sperimentare e misurarsi in generi, situazioni e mercati diversi, riuscendo così a scongiurare la noia, sua terribile e paventata nemica.

In altre parole, direi che mi sento piuttosto fortunato, almeno fino a qui.

Ah, dimenticavo, sono un “fumettaro”, scrivo e disegno fumetti, o le “figurine” come ama dileggiarmi un mio vicino che, scherzando, finge di non prendere sul serio il mio lavoro.

Com’è nata l’idea di raccontare la tua storia con “Di altre storie e di altri eroi”?

Come nascono quasi tutte le idee, all'improvviso.

Devo dire che la lettura di alcune graphic-novel hanno accelerato il processo, dopo avere letto di tutto di più, e di storie la cui minimalità in certi casi era anche imbarazzante, mi sono detto: -E perché no? Anch'io avrei qualcosa da dire!- poi in realtà, non sono capace di scrivere storie che non abbiano un capo, un corpo ed una coda, anche se nel caso in questione il racconto ha una struttura diversa.

Così, ho preso coraggio e l'ho realizzata anch'io.

Cosa rappresentavano per te quei racconti di guerra e “piccoli” eroi quotidiani?

Era il mio universo fantastico, almeno quello di quelle precise occasioni. Mi ero costruito un mondo al quale facevo sempre riferimento e al quale ogni volta aggiungevo un pezzo, un particolare, un dettaglio, così la struttura si arricchiva ogni volta di un qualcosa in più fino a definirlo in modo così preciso che quando mi sono ritrovato a scriverlo e disegnarlo è uscito di getto, senza incertezze.

>Come ha reagito chi si è riconosciuto nel tuo fumetto?

Molti purtroppo non ci sono più, direi la maggior parte, ma quelli che ancora ci sono ricordano quel mondo e quelle occasioni con entusiasmo e naturale nostalgia ed hanno avuto una reazione fantastica.

Per l'occasione oltre che una mostra dedicata alle tavole costituenti il libro, a Rosignano Solvay (il luogo dove si svolge l'intero arco delle storie ndr), il volume è uscito anche in allegato a “il Tirreno”, il quotidiano della zona con un prezzo maggiormente accessibile, la  mostra così è diventata un momento di evocazione nel rinnovarsi di un epoca, ma ha anche riunito persone con interessi comuni, con ricordi da condividere, per questo oltre a ringraziarmi per aver donato memoria di tutto ciò, ognuno ha arricchito certi episodi con le proprie esperienze o riconoscendosi in altri contesti, è stato un riscontro davvero emozionante.

Il libro, a cui è stato attribuito un valore sopratutto per la valorizzazione della memoria, è stato diffuso anche nelle scuole locali oltre che essere richiesto per una mostra a Grosseto sotto il patrocinio dell'ISGREC ( l'Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell'Età Contemporanea).

Nel tuo fumetto si respira – e traspare in numerose tavole – la tua passione per il cinema. Quali sono le citazioni che ti sei divertito inserire?

L'amore per il cinema credo appartenga a chiunque faccia questo mestiere, è nel DNA di ogni fumettaro che si rispetti, oltre al fatto che cinema e fumetto sono parenti piuttosto stretti.

Sinceramente, se ci sono delle analogie non sono volute (anche se mi viene in mente la carica della cavalleria, decisamente debitrice del film “Ombre rosse”), e quelle che ci sono (per chi riesce a vederle) sono dovute al fatto che certi brani o certe situazioni filmiche sono state così assimilate da diventare patrimonio personale, mentre di citazioni vere e proprie si può parlare riguardo alle vignette del fumetto di Rino Albertarelli, quelle sì inserite di sana pianta come preciso riferimento.

Tra l'altro, sempre a riguardo agli accostamenti cinematografici, un precedente intervistatore ha definito il mio racconto “una specie di Amarcord d'oltre appennino” che, seppur non sia amante di certe similitudini, non solo ho trovato abbastanza calzante ma, avvicinando il mio lavoro ad una definizione di derivazione felliniana, la cosa non ha potuto che lusingarmi.

In questa storie utilizzi il colore. Con quale tecnica hai colorato le tue tavole? Il tuo approccio alla tavola immagino sia diverso rispetto ai tuoi lavori in bianco e nero?

Ho colorato il tutto con il semplice acquerello, una tecnica naturale e tradizionale, mi sembrava semplicemente la più diretta e sopratutto la più adatta.

L'atteggiamento nella costruzione della tavola da realizzarsi in BN o con il colore più che l'impostazione della tavola stessa, è l'uso del nero come definitore di ombre e volumi, a cui si delega in assenza del colore, mentre definisce solo gli spazi quando lo si usa.

Anche se in questo ho voluto usare molto anche il nero, pur sapendo che poi sarei passato alla colorazione, era una forzatura che mi è piaciuto adottare ed il risultato mi è sembrato accettabile.

Come sei arrivato alla Tunué?

Be', sai, oramai siamo professionisti da parecchio tempo e conosciamo un po' tutto il mercato che ci circonda, le caratteristiche delle case editrici, cosa e come pubblicano, la mia è stata un'attenta valutazione ed un gioco all'esclusione.

Non è stato molto difficile, oramai sono abbastanza conosciuto e godo di un minimo di credibilità, è bastato presentare il progetto e la cosa si è fatta, del resto il problema che si pone i questi casi non è quello di pubblicare, semmai sono altri...

Fantascienza, cyberpunk, noir, romanzo storico e autobiografico: nella tua lunga carriera hai affrontato molti generi, adattando ogni volta il tuo stile in maniera mirabile. C’è un genere in cui ti senti più a tuo agio? E un tipo di storia che ti piacerebbe raccontare e su cui ancora non ti sei messo alla prova?

Non ho generi prediletti, per quanto prima o poi disegnerei volentieri un bel western come dico io, ma di sicuro tutto questo mio cambiare è dovuto, come anticipato all'inizio, alla paura di annoiarmi, io detesto la noia, anche perché in me produce effetti devastanti, finisco per non disegnare bene e sono capace di realizzare cose che sembrano fatte da un altro, per questo ho bisogno di continui stimoli, certo è che tutta questa mia rincorsa risulta faticosa e poco rilassante.

Bah, a parte il western su cui prima o poi conto di mettere le mani, al momento direi di no, anche se ho un progetto su una storia “in costume” e in parte mitiga il desiderio di realizzare storie riguardanti l'Ovest americano e di periodi storici lontani.

Quali fumetti hanno accompagnato la tua infanzia/adolescenza?

Io leggevo di tutto anzi, all'inizio più che altro guardavo le “figure”, così mi rimproveravano sempre i miei, perché attratto solo dai disegni, ma ero legato ai fumetti estremamente popolari, quelli che un tempo riempivano le edicole di colori e di edizioni di ogni tipo. Più che altro i settimanali come: il Monello, l'Intrepido, il Monello Jet, il Giornalino e sopratutto il Corriere dei Piccoli, su cui ho affinato i miei gusti conoscendo ed adorando tutto il fumetto francese dell'epoca e i maggiori autori popolari italiani: Battaglia, Toppi, Pratt, Micheluzzi, Uggeri, Di Gennaro, Manara.

Successivamente mi sono fatto tutta la stagione delle riviste d'autore, direi proprio tutte, non sto neanche ad elencarle tutte perché non ne saltavo una.

Ho arricchito il mio edicolante, sicuro.

Un fumetto e un autore poco conosciuti o non abbastanza valorizzati che ci consigli di riscoprire?

Bah, guarda, mi verrebbe da dire Sean Murphy tra gli americani, è anche un buon autore oltre che ottimo disegnatore, Bezian per i francesi, ha un tratto spigoloso e pungente ma molto personale,e tra gli italiani … non so, sono colleghi e non vorrei fare torto a nessuno, per togliermi dai pasticci faccio riferimento ad un autore assoluto, uno che ha fatto la storia del fumetto di questo paese ma che seppur conosciuto non ha goduto secondo me, di importanti riconoscimenti e di maggiori tributi che avrebbe invece meritato: Gino D'Antonio.

Un consiglio a un disegnatore che vuole entrare nel mondo del fumetto.

Che faccia altro, se ha la passione per il disegno che si concentri su altre forme di “arti applicate”, purtroppo non prevedo per il fumetto un grandissimo futuro, almeno in Italia, schiacciato com'è dalla latitanza per la lettura dei nostri giovani e la letale concorrenza di altre forme di intrattenimento con maggiore appeal di un testi disegnato e scritto.

Lo so che sarò tacciato di pessimismo, ma questo è quello che constato.

E, se in uno slancio autolesionistico, volesse proprio farlo a tutti i costi, a parte proporsi alla Sergio Bonelli Editore, l'unica casa editrice italiana che ha la possibilità di pagare professionalmente un autore, che abbia la forza e la determinazione, e sopratutto la lungimiranza di guardare all'estero, in Francia e Stati Uniti.

Per il resto: buona fortuna.

Hai mai pensato di proporti alla Bonelli come autore completo?

In realtà no, anche se anni fa avevano lasciato intendere che avrei avuto la possibilità di realizzare anche cose mie, ma sono io che ho preferito dedicarmi a Nathan Never unicamente come disegnatore, preferendo realizzare storie su personaggi direttamente creati da me, e che comunque avevano e sono stati sempre concepiti per formati e standard differenti.

Del resto l'ho già detto, a me piace cambiare, e cambiare vuol dire pensare ex-novo qualcosa mai fatto prima, usando il colore invece del BN, misurandosi magari su lunghezze e formati differenti o addirittura per paesi diversi.

Su cosa stai lavorando ora?

Sono in un momento molto particolare, sono reduce da un anno davvero pieno di soddisfazioni ma su cui sono stato completamente assorbito dal mio libro “Di altre storie e di altri eroi”, tra esposizioni, promozioni ed incontri, che mi ha lasciato un po' svuotato.

Ho terminato un Nathan Never che era da anni fermo in stand_by, e ne sono felice perché mi sembrava giusto riannodare un legame con i miei lettori che da anni non vedevano niente di nuovo realizzato per la Bonelli. E adesso non so ancora se porterò a termine il mio progetto di una storia in costume (piuttosto ponderosa), una nuova storia di Nero Maccanti (il protagonista della tetralogia Hasta la Victoria!), o una nuova graphic-novel che è lì, che sta macerando e maturando pronta per essere realizzata.

Come si dice in questi casi: “Troppa carne al fuoco”- e spesso si brucia tutto, per questo cerco di essere prudente e non ho ancora deciso il da farsi.

Ultima domanda, d’obbligo per chi come me ha ancora negli occhi e nella memoria le emozionanti pagine del tuo libro: che fine ha fatto Buggegge?

Eh, Buggegge purtroppo è morto, da anni.

Ma è rimasto nella memoria scolpito come un ricordo indelebile della mia infanzia, è strano, perfino mio padre si sarebbe stupito nel vederlo troneggiare in copertina di un libro, ma sono quelle cose buffe della vita che la rendono meravigliosa...un personaggio vissuto esclusivamente all'incrocio di quattro strade polverose, praticamente senza amici e sconosciuto al mondo, comunicando solo con un unica frase, ha lasciato qualcosa del suo cammino, è riuscito a ritagliarsi un pezzettino di notorietà destando così tanto interesse e restando così impresso nella mente dei lettori.

Fa pensare.