ANDRÉ ACIMAN

Incontro con l'autore dell'intenso romanzo d'amore "Chiamami col tuo nome"

ANDRÉ ACIMAN

Ha un’aria da gentiluomo europeo lo scrittore André Aciman, autore del romanzo “Chiamami col tuo nome”. Eppure di sé dice di non essere americano (anche se vive a New York e insegna Letteratura comparata alla City University), di non essere egiziano (anche se è nato ad Alessandria d’Egitto nel 1951), non francese o italiano (ha vissuto in entrambi i paesi, dopo che la sua famiglia ha dovuto lasciare l’Egitto in seguito alla crisi di Suez), e neppure ebreo. Lo abbiamo incontrato a Milano per parlare con lui del suo romanzo, il primo ad essere pubblicato in italiano.

Si secca quando il suo romanzo viene limitato da una definizione che lo restringe nelle strettoie di un genere- voglio dire, quando viene definito come ‘romanzo gay’ invece che, semplicemente, ‘romanzo d’amore’?
   No, non mi secca, penso che sia inevitabile, perché è come reagisce la gente, ognuno ha il suo modo di lettura. E’ inevitabile. E tuttavia mi ritengo fortunato, perché tutti quelli che hanno letto il mio libro e mi hanno contattato dicono sempre le stesse cose- cioè che non importa chi siano i protagonisti della storia d’amore, sarebbero potuti essere un uomo e una donna, non avrebbe fatto differenza. “Chiamami col tuo nome” è un romanzo sull’intimità, che è una cosa molto rara. E proprio perché è raro trovarla, va bene con chiunque la si trovi.

Dal mio punto di vista “Chiamami col tuo nome” è un romanzo di iniziazione, dove semplicemente accade che questo forte sentimento esista fra due uomini: qual è il Suo punto di vista?
   Non sono certo che sia un romanzo di iniziazione, se con ciò si intende iniziazione a qualcosa di nuovo- anche questa è un poco un’altra etichetta. In realtà Elio è già iniziato all’amore e al sesso. Elio sa quello che vuole, ha già avuto delle ragazze, ma quando uno scopre questa sensazione di intimità- è qualcosa che ti cambia per sempre. E’ un tipo di iniziazione che può avvenire a qualunque età e ci sono persone che non vengono mai iniziate. Iniziazione è quando incontri la vita con qualcun altro, chiunque questo ‘qualcun altro’ sia. Vorrei che fosse chiaro questo- volevo evitare lo stereotipo della ‘scoperta della prima volta’ , se questa ‘prima volta’ si limita all’adolescenza. Mi interessava la scoperta della sessualità che può avvenire a qualunque età. Era la scoperta che mi interessava, una scoperta che viene dal di fuori e che ci coglie di sorpresa. Non era l’adolescenza che mi interessava.

Può dirci qualcosa sull’origine di questo romanzo, dal momento che ha così tanto a che fare con l’Italia? Perché Elio è italiano, il luogo è sul mare nella Riviera, la villa che ospita giovani scrittori ci fa pensare ad un luogo simile in Toscana…
   Ci sono molti luoghi così…La scelta ha a che fare con la storia d’amore: un personaggio incontra un altro personaggio in un ambiente in cui si incrociano di continuo. Potevano andare bene un paio di situazioni: una sorta di corte, del tipo di quelle dei reali di un tempo, oppure un college universitario. Ma mi piaceva l’idea dell’estate e questo escludeva la scuola; e poi c’era il mio amore per l’Italia e quel paesaggio che è legato al libro e ne è parte essenziale quanto la storia d’amore. Perché ci sono dei punti in cui non si riesce a distinguere quale sia il sentimento prevalente in Elio, se l’amore per Oliver o per il mare o per il profumo del rosmarino. Mentre scrivevo il libro la mia mente volava indietro a molti luoghi che avevo visitato in Italia quando ci ho vissuto- sono stato per tre anni a Roma.

Ogni volta che uno scrittore si accinge a scrivere una storia d’amore e di sesso, deve fare una scelta se lasciarsi andare o meno a descrizioni di dettagli fisici. A parte una scena che attira l’attenzione proprio perché unica- ed ha un lato anche molto poetico- mi pare che Lei abbia scelto un tono quasi aereo, senza mai dire troppo: ha soppesato questa scelta, prima di iniziare il romanzo?
   No, non ho fatto alcuna scelta di tipo di scrittura, non ho pianificato le scene di sesso. Non sapevo fin dove mi sarei spinto e, quando mi fermavo, era perché ero arrivato dove volevo arrivare oppure perché provavo un senso di repulsione. A volte, mentre scrivevo, c’erano delle scene che mi pareva impossibile avere scritto io stesso. E tuttavia non ne ero seccato e una volta scritte andavano bene così, erano reali. C’erano delle frasi che avrei potuto tagliare, ma non lo facevo perché in definitiva andavano bene così.

Ho trovato straordinario il personaggio del padre di Elio, con il suo tatto e la sua comprensione: Suo padre gli assomigliava?
   E’ un padre saggio che vuole che il figlio sia felice. E sì, assomiglia un poco a mio padre che non mi avrebbe mai criticato per le mie scelte. Spero di comportarmi allo stesso modo con i miei figli. Ci sono padri- è vero- che uccidono il figlio o si suicidano perché il figlio è omosessuale. Per la vergogna o forse perché vivono la cosa come l’aprirsi dell’inferno davanti alla loro famiglia. Il padre di Elio arriva al punto di dirgli che non ha mai avuto l’opportunità che ha avuto suo figlio- e chi è lui per giudicare? E quando- anni dopo- passa la cornetta del telefono a Elio, e dall’altra parte del filo c’è Oliver, il padre dice a Elio che il fatto che lui pretenda di non sapere chi ha chiamato gli dice ancora di più di qualunque parola. E’ un romanzo sul tatto, sulla discrezione. Mi piacerebbe pensare che sia anche la discrezione dell’autore- una delicatezza che lo rende amabile al lettore.

Il suo romanzo precedente “Out of Egypt”, che aspettiamo con ansia di leggere, è un libro molto diverso: ce ne può dire qualcosa?
   “Out of Egypt” non è un libro su rapporti tra persone, ma sulle perdite: perdite di una cultura, di uno stile di vita. E’ un ricordare dopo la perdita, dopo la caduta, e ricostruire quello che c’era una volta. E’ un libro più immediato di questo secondo romanzo- è un libro sull’aver avuto un luogo, averlo amato e averlo perso. Quando avevo quattordici anni la mia famiglia fu espulsa dall’Egitto in quanto ebrei- noi fummo tra gli ultimi ad andarcene, l’esodo era iniziato nel 1956, anno della crisi di Suez.

Lei è uno studioso di Proust: è stato influenzato dallo scrittore francese? C’è una parola che Elio ricorda spesso, il ‘dopo’ che Oliver usava di frequente a mo’ di saluto e che per Elio funziona come una madeleine…
   La parola ‘dopo’ di Oliver è la cosa che colpisce Elio, perché contiene l’intera personalità intrigante di Oliver. E certamente Proust mi ha influenzato- l’ironia che pervade le sue pagine, il senso che stai entrando in qualcosa di santo e allo stesso tempo ti prepari per quando lo perderai. Ma ci sono anche altri autori che mi hanno influenzato: Stendhal- di cui nel romanzo Elio cita “Armance”, che mi ha dato un modello per le scene della colazione- e soprattutto “La principessa di Clèves”, un romanzo d’amore che è tutto nell’analisi psicologica dell’amore.